SWERVEDRIVER | I Wasn’t Born To Lose You

Swervedriver
I Wasn’t Born To Lose You
Cobraside Distribution Inc. / Cherry Red Records
2015

Si accettano scommesse. Chi saranno i prossimi a ritornare? Ormai è lecito fantasticare qualsiasi ipotesi. Basta solo aspettare e sperare che nel frattempo certi benianimi (nostri e vostri) non passino a miglior vita. Senza prendere in considerazione quello appena precedente, l’anno in corso ha già visto resuscitare discograficamente Pop Group, Sleater-Kinney, Marilyn Manson, Lightning Bolt e Cherubs (a breve tutti destinati ad essere presi in esame su queste pagine). Prestissimo li raggiungeranno anche Faith No More e Blur. Ora, però, tocca parlare del clamoroso “comeback” degli Swervedriver, insieme a Radiohead, Ride e Supergrass vanto musicale nel mondo della piccola città di Oxford. “I Wasn’t Born To Lose You” è il loro nuovo disco in studio a ben 16 anni di distanza dall’ultimo “99th Dream”. Formati nel 1989, hanno dato il loro più bel gettone alla scena “shoegaze” dei primi anni Novanta con lo straordinario “Mezcal Head”, classico fondamentale del genere pubblicato nel 1993 dalla benemerita e sempre leggendaria Creation di Alan McGee.

 

Di quel nucleo storico restano solo i fondatori, Adam Franklin e Jimmy Hartridge. E tanto basta. Perché è nella loro voce e nelle loro sei corde elettriche che risiedono il marchio di fabbrica e il magnetismo del suono Swervedrive. Un particolare connubio di rumore e melodia cosparsi di polvere allucinogena, un noise-pop sofficemente abrasivo e lisergico, elettricamente iridescente e squillante. Il miglior compromesso sonoro tra la lezione dei Dinosaur Jr. e quella di My Bloody Valentine e Velvet Underground. Qualità e caratteristiche che con soddisfazione si possono ritrovare quasi immutate nelle dieci tracce inedite di  “I Wasn’t Born To Lose You”. Ovviamente non si arriva neanche a sfiorare il senso di urgenza e il favoloso mix di potenza e straniamento del capolavoro prima menzionato.

Prevale, al contrario, una ripetitività di fondo, data da cadenze ritmiche, linee armoniche e soluzioni timbriche che si assomigliano troppo tra loro. Come se il quartetto inglese tenga più a mantenere il controllo della velocità e della direzione di marcia piuttosto che osare manovre a rischio e bruschi acceleramenti come nel passato. Ma va bene anche così, credetemi, perché il disco è, in generale, molto bello e contiene delle pregevoli canzoni. Come la spigliata presa pop intarsiata di riverberi e feedback dell’accoppiata apripista (Autoditact e Last Rites), la trasognata e tintinnante malinconia del singolo Setting Sun, la labirintica e avvolgente saturazione “dream-noise” di Lone Star, oppure il taglio “hard psych” calato nei riff di Red Queen Arms Race. Dunque un ritorno coi fiocchi, valido e più che dignitoso. Una delle rare occasioni in cui musica e reputazione si salvano entrambi.

 

Voto: 7/10

Genere: Alternative Rock / Noise-Trance Pop

 

 

Musicisti:

Adam Franklin – vocals, guitar

Jimmy Hartridge – guitar

Steve George – bass

Mikey Jones – drums

 

 

Brani:

01. Autodidact

02. Last Rites

03. For A Day Like Tomorrow

04. Setting Sun

05. Everso

06. English Subtitles

07. Red Queen Arms Race

08. Deep Wound

09. Lone Star

10. I Wonder?

 

 

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Cherry Red Records

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