Gianluca Mazzarella, cantautore siciliano dalla sensibilità raffinata, sta conquistando l’attenzione con il suo singolo Quando ti vedrò tratto dall’album di debutto Sud. Artista dallo stile versatile, Gianluca intreccia nelle sue canzoni un’ampia gamma di riferimenti, dalla letteratura al cinema, tracciando un percorso sonoro e narrativo che evoca il sapore autentico della sua terra e della sua identità. Con una scrittura evocativa, l’artista esplora temi universali e personali, trovando ispirazione nella cultura siciliana e nella sua esperienza di vita all’estero, elementi che emergono con naturalezza nei brani dell’album. Nell’intervista, Gianluca racconta i dettagli di Sud e il percorso che lo ha portato a realizzarlo, offrendo uno sguardo intimo e originale sul suo mondo artistico e sulle influenze che ne caratterizzano lo stile.
Hai definito “Quando ti vedrò”, il tuo nuovo singolo, come una canzone dall’anima cinematografica. C’è un film o un regista che ti ha influenzato particolarmente nella scrittura di questo brano o di altri pezzi di “Sud”?
Credo che l’album sia intriso di riferimenti, sia cinematografici che letterari. Alcuni voluti ed espliciti, altri forse piu inconsci ma non per questo meno spontanei. Il personaggio di “Quando ti vedró” ad esempio, a me sembra uscito da “L’ultima estate in città” di Calligarich. “Il futuro ha un cuore antico” prende in prestito il suo titolo da un libro di Carlo Levi. Il mio “Dumbo” credo sia parecchio Felliniano, e “Baci da Sagres” pur essendo una canzone tutto sommato malinconica, sembra esser stata scritta nella stessa taverna dove Benigni e Troisi si spacciavano per spagnoli in “Non ci resta che piangere”. Tuttavia, c’è un pezzo, e ci tengo tantissimo a sottolineralo, dedicato con tutto il cuore a un grande del cinema italiano. Il brano “E vengo da lontano” infatti, è un omaggio, sincero e sentito a un fuoriclasse assoluto, un regista, attore, musicista geniale e indimenticato: Francesco Nuti. E a un modo di vedere e raccontare la vita ancora, a mio avviso, unico e necessario, fatto di poesia, leggerezza e malinconica ironia. La canzone è pensata come un piano sequeanza, che prova a mettere insieme alcune delle mie scene preferite dei suoi film. Ho provato a raccontarle sperando di dare un piccolo contributo al ricordo e di riuscire a restiture almeno un vago sentore di quelle atmosfere cosi magiche. È incredibile come certe persone abbiano il potere di lasciarci, quando se ne vanno, dei bagliori cosi forti, dei frammenti di poesia cosi potenti ed intensi. Se ci si pensa, questo è esattamente ciò che fanno le stelle.
Nel tuo percorso artistico, quanto ha influito il vivere all’estero sul modo in cui percepisci e racconti la tua identità siciliana? C’è un episodio che ti ha aiutato a riscoprire questo legame?
Vivere all’estero casomai rappresenta l’energia potenziale elastica di una molla che viene messa in tensione: più ci si allontana, più si avverte un crescente spasmo, un’inquietudine che fa da tappo a questa insostenibile leggerezza dell’essere…meridionale. Un episodio specifico non direi perché é un legame che non si è mai sopito. L’identità è un qualcosa che ti porti dentro ovunque vai. Chi parte e lascia la propria terra non recide mai le proprie radici, casomai le travasa. Le mette in un qualche tipo di anfora e le porta sempre con sé, per ricordarsi chi è, da dove viene, dove “appartiene”.
Il brano “Fiore di mandorlo” sembra evocare immagini forti e simboliche. Qual è il messaggio dietro questa canzone e come è nata?
È una fotografia di Agrigento, scattata da un piccolo fiore sbocciato su un ramo di mandorlo nella valle. Mi sono divertito a invertire un po’ i punti di vista. A immaginare cosa si prova a stare lì, a vedere arrivare folle di turisti curiosi e sognanti che ti osservano sbocciare. Mi sono chiesto cosa si prova a trascorrere tutta la propria esistenza su quel ramo, in quel posto, a godersi lo spettacolo del panorama, dei profumi, a osservare la vita che scorre tutto intorno, ad assaporare la primavera che ritorna. Ho provato anche a chiedergli quali fossero le sue aspirazioni, le sue speranze, ma ha preferito tenersele per sé…
La tua musica richiama sonorità anni Settanta. Ci sono artisti o band di quel periodo che consideri punti di riferimento per il tuo stile?
In realtà proprio perchè scritto in un arco temporale molto ampio, le sonorità e i temi toccati nell’album sono molto variegati e variopinti, anche se sempre riconducibili ad un unico, chiaro filo conduttore. Sicuramente “Quando ti vedrò”rimanda a certe sonorità acustiche degli anni ‘70 che tanto mi stanno a cuore. Se penso a quel periodo mi vengono in mente un bel po’ di mostri sacri che hanno contribuito non poco a farmi innamorare perdutamente della musica. La lista sarebbe lunghissima, James Taylor, Tom Waits, gli America, Tom Petty, Crosby Stills Nash & Young, Springsteen, i primi nomi che mi vengono in mente. Da ripetere a mò di mantra, in mistico e religioso raccoglimento.
Com’è stato il processo di registrazione di “Sud”? Hai collaborato con altri musicisti o produttori? E quali sono state le sfide principali?
“Sud” è un album figlio dei suoi tempi. Messo insieme con la sapiente arte dei maestri Domenico Petrella e Diego Giacomazzo che hanno curato gli arrangiamenti e la collaborazione di appassionati e validi musicisti come Gianni Massarutto e Andrea Marchetta. La sfida piu grande è stata senz’altro la distanza. Ci siamo dovuti adattare ai miei cicli migratori verso sud, oltre che ai miei tempi agricoli. Di questo però in un certo senso sono contento perchè oltre che della mia indole migratoria, vado fiero anche delle mie origini contadine ed è bello che in qualche modo entrambe abbiano lasciato il segno e che ve ne sia il riflesso.
Parli spesso di quanto sia importante per te l’aspetto emotivo e personale della musica. Come riesci a bilanciare l’intimità delle tue storie con la necessità di parlare a un pubblico più vasto? C’è mai stato il timore che il tuo messaggio potesse non essere compreso pienamente?
Per una persona di fondo molto timida il problema non è stato tanto pensare di dover parlare a cento o a mille anziché a uno. Il problema é stato più che altro iniziare a parlare, ad aprirsi, a mettersi in gioco. Per farlo, la cosa fondamentale per me, è stata raggiungere la convinzione di avere delle belle storie da condividere e sentire un bisogno crescente di raccontarle. Non credo si possa decidere e nemmeno prevedere come verranno percepite una volta che le mettiamo in piazza. Ma possiamo senz’altro lavorare sodo sul modo in cui le raccontiamo. Affidandoci alla bellezza, alla sincerità, alla poesia, all’empatia che, nonostante il periodo storico che attraversiamo, a mio avviso rimangono frecce aguzze in grado di penetrare con dolcezza le corazze, di parlare ai cuori, senza avere la pretesa di insegnare la vita, ma solo di raccontarne qualche frammento.
Prossimi progetti?
Un videoclip che uscirà a breve. Altre serate dal vivo. Un nuovo album già in cantiere. In cui ci saranno storie recenti che mi è sembrato valesse la pena raccontare e storie passate che vorrei contribuire, nel mio piccolo, a proteggere dall’usura della memoria. Ci sarà un nuovo pezzo in siciliano e stavolta anche uno in romano. Ci saranno ancora letteratura, viaggi, e spero anche un duetto. Sopratutto ci sarà leggerezza che, come diceva Calvino, “non è superficialità, ma è planare sulle cose dall’alto e non avere macigni sul cuore”. E scusate se è poco!