Disco di potenza visionaria sicuramente, in bilico tra passato tribale e futuro di elettroniche ricercate. Lui è maestro nell’arte dei tamburi: Bruno Genèro torna con un suo disco di composizioni inedite che condivide con l’elettronica del producer Alain Diamond. “Ekùn” è il titolo di questo bellissimo vinile 180 gr. dentro cui si chiude una filosofia di vita, un lungo momento di vita speso in terra d’Africa, la contaminazione che ha anche sfumature di jazz, di pop, di world. Il mondo si racchiude dentro un disco soltanto…
Mescolare l’etnia del mondo alle macchine: è stato difficile? È stata una violenza o una forma automatica di condivisione?
Direi la seconda. È stato un incontro complementare: tutto è iniziato dalle storie che volevo raccontare. Con Alain Diamond, Dj e Producer di sangue gabonese, diplomato al Conservatorio in pianoforte, in fase di composizione abbiamo fatto un grande lavoro di osmosi, per amalgamare frequenze molto diverse fra loro (analogiche e digitali).
In alcuni brani siamo partiti dalle basi ritmiche suonate con i tamburi, e l’elettronica ha dovuto integrarsi, sia per le atmosfere, che per le parti di armonia e melodia. In altri, sono stati i tappeti ambient e la scelta dei bit a influenzare e ispirare le poliritmie percussive.
Più di una volta, la scrittura ritmica si è dovuta adeguare quando le macchine non leggevano diverse acciaccature, tipiche della metrica africana.
Mi ricordo un giorno all’inizio di questo progetto: avevo in mente una linea di basso. Quando sono arrivato in studio da Alain gliel’ho fatta sentire. Lui subito ha iniziato a lavorare il suono, dandogli un’impronta dance-house. Questo mi ha ispirato! Così è nato Dansa, uno dei miei brani preferiti dell’album. Infine, ho cercato di evidenziare la parte neoclassica di Alain, fondamentale per l’alchimia sonora di “EKÙN”, permettendo di ricreare le atmosfere che volevo descrivere.
Che poi qualcuno dice: le macchine, il mondo digitale, è una prosecuzione dell’essere umano… come fosse un’altra faccia della nostra natura. Che ne pensi?
Come dico spesso, “l’uomo propone, la musica dispone”!…
Il musicista dev’essere un ricercatore, perché la musica è una verità senza fine. Il digitale e l’intelligenza artificiale sono risposte alle esigenze dei musicisti e dei mercati, esaltano l’ingegno e il potere tecnologico, aumentando l’immaginazione e l’espressività artistica. La nostra natura è fatta di tante cose, il mondo digitale è semplicemente una di queste.
Bella questa copertina. Che significato porta con sé questa luce solo ad illuminare gli occhi?
Volevo un’immagine che rappresentasse il connubio tra la parte umana, legata al tamburo, e la parte “aliena”, vicina ai suoni delle macchine. Ringrazio il fotografo e amico Davide Carrari e il grafico Giorgio Cappellaro per le loro proposte e il lavoro creativo. In questa copertina mi sono ispirato ad un segno di IFA (antico sistema divinatorio africano, dal 2008 “Patrimonio Immateriale dell’Umanità” tutelato dall’UNESCO). OYEKU MEJI, il Re della notte, dice: la luce scaturì da una scintilla nelle tenebre per illuminare il cammino. Gli occhi rivelano sempre l’essenza di un Essere… anche la musica racconta l’anima di chi la compone.
E ancora: il corpo si tiene al buio come forma di protesta verso l’eccessiva estetica?
Se la nuova forma l’ho affidata alla tecnologia e alla parte elettronica, il corpo rispecchia la fisicità dello strumento che suono, rappresentando l’essenza e il linguaggio di questo album.
Dal vivo che accade? Quanta improvvisazione c’è nel suono e nella esecuzione delle varie composizioni?
Dal vivo sto sperimentando diverse formule. Da solo, con un supporto di immagini multimediali, oppure con l’elemento danza (corpo di ballo afro-urban contemporaneo)
EKÙN è un album autobiografico, ogni brano corrisponde ad un’esperienza vissuta viaggiando in 3 continenti con il mio tamburo. Quando mi esibisco SOLO, a volte racconto queste avventure sulla musica spesso coinvolgendo il pubblico. Musicalmente parlando, ci sono alcuni brani dove eseguo le partiture fedeli all’album, perché le frasi dei tamburi fanno parte di un codice preciso ed espressivo all’interno della tradizione africana. In altri sono libero di improvvisare all’interno delle strutture.
Un doppio vinile: la tecnica antica in questo caso. Perché? Perché non una soluzione sfacciatamente futurista?
Ho iniziato a fare musica con i suoni analogici e i vinili. Al di là delle mode o richieste commerciali, trovo questo oggetto un simbolo che racconta una parte di me. Ero ancora adolescente quando affiancavo allo studio della musica la passione da deejay, usando i vinili durante le serate in discoteca. Ancora oggi ne posseggo una discreta collezione.
Penso che la musica sia come un ‘portale’ a cui il musicista, secondo la propria sensibilità, consapevolezza e talento, può attingere attraverso suoni e frequenze, ricreando atmosfere senza tempo. Lavorando a questo album mi sono ritrovato a fare un tuffo nell’ignoto, dove Passato, Presente e Futuro sono diventati un tutt’uno. Penso che il vinile, più di tutti gli altri supporti, sia l’oggetto che maggiormente rappresenti questa chiave di lettura.