“Dues” è il nuovo album degli I Shot A Man

“DUES” è il nuovo album degli I Shot a Man, fuori giovedì 29 febbraio 2024, concepito tra i blues urbani del nostro secolo, trascinato per le rive del Mississippi fino alle paludi della Louisiana. Il 9 marzo a Torino, tra le storiche mura di Spazio 211, la band presenterà dal vivo il nuovo album. A stendere il tappeto rosso al nuovo lavoro sono stati i due singoli “Arnold Wolf” e “Billboards”, prima e ultima traccia del disco. “Arnold Wolf”, un brano intriso di chitarre elettriche e suoni saturi, a sottolineare la ricerca di un sound moderno e diretto, e “Billboards”, una ballata notturna dai toni caldi e vellutati, tinta di soul anni ‘70. Quello che c’è nel mezzo è DUES. Una raccolta, un disco antologico, l’amore per le figlie e i figli del blues, per le sue radici e per le sue declinazioni più moderne. È un album da sfogliare, una raccolta di foto, storie di persone diverse vissute in luoghi e momenti diversi. Come se ogni brano fosse un piccolo film, alla ricerca di un nuovo blues, come se fosse sempre stato lì, come se nascesse oggi.

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Domenico De Fazio – chitarre elettriche/cori
Manuel Peluso – voce principale/chitarra elettrica
Simone Pozzi – batteria/percussioni/cori

Tom Newton – voce/armonica in Moanin’ at Midnight
Alice Costa – cori in Thieves, Billboards
Ilaria Audino – cori in Thieves, Billboards
Simone Scifoni – pianoforte in Spazio 50
Manuel Volpe – pianoforte in Billboards

DUES è prodotto da Manuel Volpe,
è stato registrato/mixato/masterizzato da Manuel Volpe @ Rubedo Recordings, Torino IT

DUES è il secondo album in studio di un trio che sognava di essere una big band. DUES si addentra nell’essenza del blues, districa le sue radici africane, morde il delta del Mississippi, inghiotte i suoi figli più moderni. Con testi intensi che esplorano il peso dei demoni del nostro secolo, tra la difficoltà di vivere in questo mondo e una spiritualità sempre tesa a un dio lontano, ogni brano è un ritratto, un personaggio, una invocazione. Dai riff incendiari alle melodie penetranti, DUES ricerca l’insoddisfazione, il moto costante, subisce il fascino del ricordo, si abbandona alla malinconia, per tornare sempre all’essenza cruda e potente del blues.

“La ricerca, gli ascolti, ci hanno spinto a cercare di interiorizzare i generi a cui ci siamo avvicinati, così da non imitarli, ma spogliarli, riprenderli da zero, e mescolarli tra loro”.

Al suono marcatamente delta del primo album, infatti, si aggiungono ritmi che dal moderno desert blues africano arrivano a ossessivi Hill Country Blues, suoni della scena di Nashville coi suoi Black Keys e Jack White, ma anche arie di New Orleans, e atmosfere soul anni ’70.

“Non possiamo definirci degli integralisti del blues. È una musica che amiamo, e per noi amarla vuol dire accogliere le influenze che l’hanno generata e che ha generato, ed evitare i clichés, gli stilemi, le strade battute. DUES è una parola che abbiamo piegato a nostro uso personale: è il nostro secondo album, e ci divertiva l’idea che il titolo contenesse la parola italiana “due”. DUES potrebbe essere tradotto con “debiti”, il dovere qualcosa a qualcuno, al fisco, alla vita, nel senso più letterale e materiale del termine, ma anche nell’accezione dell’essere in debito in senso artistico, verso coloro che ci hanno preceduto. “Pay the dues”, infine, è il guadagnarsi qualcosa con il sudore, il duro lavoro e la sofferenza. Gunbender, il nostro primo album, è stato registrato in presa diretta in 5 giorni, DUES ha richiesto un anno di gestazione. La maggior parte dei brani è stata scritta durante un breve ma intenso ritiro tra le colline, poco fuori dalla nostra città. C’erano idee, riff, suggestioni, versi senza musica. I pezzi hanno preso una loro forma embrionale, e qualche mese dopo siamo entrati in studio di registrazione. L’album è stato prodotto, registrato e mixato da Manuel Volpe per Rubedo Recordings. Manuel ha accolto i brani, vestendoli un pezzettino alla volta, a volte assecondandone l’identità, a volte proponendo soluzioni radicali e inaspettate. In DUES troviamo inoltre Simone Scifoni al pianoforte in Spazio 50, Tom Newton all’armonica e cori in Moanin’ at Midnight, Alice Costa e Ilaria Audino nei cori di Thieves e Billboards.”

BIO:

Gli I Shot a Man nascono nel 2014, dall’ostinazione di riprendere il blues dalle origini e suonarlo come se fosse nato oggi. Il risultato è un suono essenziale, incompleto, non rifinito, vicino al mondo in cui il blues è nato, quando gli strumenti erano pochi e arrugginiti, ma in mezzo a quella ferraglia riuscivano a nascere melodie così pure da diventare universali. L’assenza del basso li costringe a inventare arrangiamenti nuovi, a ripensare la ritmica in un dialogo costante tra le percussioni e un fingerpicking vecchio di cent’anni.

FORMAZIONE:
Domenico De Fazio, chitarre elettriche, resofoniche, cori
Manuel Peluso, voce principale, chitarra elettrica, acustica
Simone Pozzi, batteria, percussioni, cori

Dopo i primi anni di studio, la band inizia il suo viaggio nei migliori club italiani, guadagnandosi l’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori nel panorama blues italiano. Nel 2018 la band apre il concerto degli Animals, al Torrita Blues Festival. Nel 2019 è la band di supporto di Keb Mo al Deltablues Festival di Rovigo. Nel 2019 viene inciso il primo album in studio, Gunbender. Il disco è registrato in presa diretta su nastro magnetico presso Rubedo Recordings, a Torino. L’uscita di “Gunbender” è accolta con grande calore dal pubblico e dagli addetti ai lavori: le più influenti testate musicali italiane recensiscono con grande entusiasmo il lavoro della band. Nel 2020 gli I Shot a Man vincono le selezioni italiane dell’International Blues Challenge, aggiudicandosi la possibilità di rappresentare l’italia durante le finali internazionali di Memphis nel 2022. Nel Maggio 2022 la band si esibisce a Memphis, nei locali della storica Bale Street. Segue un lungo viaggio nel sud degli Stati Uniti, alla ricerca dei luoghi di origine del blues, tra jam sessions, live improvvisati, Juke Joint, pistole e la pelle d’oca delle messe battiste del Mississippi.

Al ritorno dagli USA, la band torna in studio. Il lavoro si presenta come una sfida: unire le tante influenze diverse, e suonare un nuovo blues come se fosse sempre stato lì, nascosto da qualche parte.

“La ricerca ci ha spinto a cercare di interiorizzare i generi a cui ci siamo avvicinati, per non imitarli, ma spogliarli e mescolarli tra loro”.

Al suono marcatamente delta del primo album, si aggiungono ritmi che dal moderno desert blues africano arrivano a ossessivi Hill Country Blues, suoni della scena di Nashville coi suoi Black Keys e Jack White, ma anche arie di New Orleans, e tinte di soul anni ‘70.

“Il blues è la prima musica che si prova a strimpellare quando si prende una chitarra in mano, ma è l’ultima che si impara a suonare davvero, e a volte non basta una vita. Ci piace dire che tutta questa storia è stata una pessima idea, perchè quando si decide di suonare blues significa che da qualche parte qualcosa è andato storto, che c’è qualche conto in sospeso con la vita”

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