ALEXANDER HAWKINS TRIO | Carnival Celestial

ALEXANDER HAWKINS TRIO
Carnival Celestial
Intakt records CD 398
2023

La mela (come talvolta si dice) può rotolare molto lontano dall’albero e, nel corso del rotolamento, può riportarne tracce, se non mutazioni drastiche quando non irreversibili.

Dalla terra di Newton (non certo ignara di mele, tanto meno di cose “rotolanti”) un saggio sulla trasmutazione del piano-trio che, a partire dal primo brano, può incappare in una imponente metamorfosi: Rapture, in effetti, può configurarsi come un non-luogo dominato da un anti-soundscape a base di brucianti, effervescenti elettroniche dall’anarchica tessitura, che lascia filtrare ossute sonorità di contrabbasso, schegge percussive e vibrazioni di corde pianistiche.

Il gusto per l’astrattezza, e relativa gestione, non può certo difettare nella creatività multiforme di un artista quale Alexander Hawkins, già convincente militante di varie espressioni del free, particolarmente diremmo entro le speculazioni di una formazione ‘avant’ quale il notevole Convergence quartet, ma anche a ragione di ciò non è definitivo che la forma-trio non sia in qualche guisa recuperabile.

Cosicché il successivo Puzzle Canon, dalla fisionomia energica e ‘thriller’, è passaggio di energie incalzanti per la terna di attori, disvelanti come chiaroscurale sensibilità e idiosincrasica disciplina sono rilevabili tra le connotazioni della più nuova esternazione in trio del pianista britannico, che attinge a bronzee densità della tastiera, in mobile interazione con un drumming serrato e scintillante ed un robusto legante a corde basse.

Fuga, the Fast One, ci ricolloca ulteriormente in relazione alla formula-trio, riesposta con le fisionomie appena descritte, transitando nei ben differenti umori e tratteggi dell’ondulante Canon Celestial, d’incedere grottesco e mood provocatorio e sfuggente. Quasi omonima del brano d’apertura, Rupture di questo riprende il carattere fortemente destrutturato, ma formalmente ben distinto ed eminentemente in-acustico, ed improntato da sonorità forti e sontuose.

Nervoso e fitto interplay nelle coinvolgenti intensità free della vissuta Sarabande Celestial, richiamante le collettive forze scultoree, di tratto ed energie ben distinti rispetto alla successiva Unlimited Growth Increases the Divide, d’incedere riflessivo e sghemba solennità, primo dei due titoli  con cui si tirano in ballo, con caustica ironia,  emergenze sociali. S’avvicenda infatti If Nature Were a Bank, They Would Have Saved It Already,  dalla telegrafica pulsazione e dal tratto allarmante, segnata da una ritmica plastica e da evocativi languori elettroacustici, entro uno spirito fusion parzialmente alieno.

La già implicata dimensione del ‘celestiale’ trova nel finale una terna di titoli, ripartente dalla titolante Carnival Celestial, di tempra fremente ed erratica ritmica, puntando a più ambiziose mire compositive in un passaggio quale Counterpoint Celestial, in cui la settecentesca formula riesce drammaticamente trasfigurata entro una temperie espressionista da ventesimo secolo, che via via s’innesta verso la formula jazz di base.

Giunge l’epilogo nei metallescenti rovesci in apertura di Echo Celestial,  che improntano la destrutturazione brillante di un passaggio non privo di fluorescenze e livida luce. Il medesimo pianista non ha esitato a chiarirci su diversi punti del backstage, e ne riportiamo un estratto in riferimento al titolo:

Circa l’impiego dell’aggettivo  “Celestial” , è qualcosa di molto astratto. In realtà l’idea è nata quando una volta stavo cercando di suggerire una possibile ‘sensazione’ da provare durante le prove… stavamo provando quella che sarebbe diventata la nona traccia, e ho suggerito di immaginarne il titolo come “Carnival Celestial” : suppongo fosse un modo per ottenere la cadenza sincopata, cercando allo stesso tempo di tenerlo scostato da qualcosa di troppo tradizionale! E le altre tracce recanti il titolo “Celestial” derivano da quello – e hanno qualche relazione con i movimenti di danza a cui a volte fanno riferimento, anche se questo è molto tenue o altrimenti oscurato!

Nuova, ed ulteriore dunque, messa in gioco del pianismo hawkinsiano, che le note di copertina apparentano, con ben ammissibili argomentazioni, alle distinte creatività di un Cecil Taylor o un Paul Bley, ma dalle ambizioni formali evidentemente ben aperte e trans-strumentali, come testimoniano i vari e differenziati investimenti non soltanto sul piano solo ma anche nelle prove in duo, non meno in formazione espansa come nel recente e notevole Togetherness Music, non potendosi omettere l’influente imprinting braxtoniano (il trio si era già prodotto con il sommo chicagoano nel corposo Anthony Braxton’s Standards Quartet), e che torna su questa formula dopo una stagionata esperienza dell’Alexander Hawkins trio (del 2015), e sulle cui implicazioni ci congediamo ancora con le dirette parole del Nostro: “Direi che la specifica formazione di quest’album sia stata determinante, infatti ho scritto molto pensando a Neil e Steve, piuttosto che a una concezione astratta di “pianoforte-basso-batteria”. Questo non vuol dire che la musica non possa essere eseguita con altri – certo che potrebbe, e i risultati potrebbero essere davvero molto interessanti! Ma il punto è che la mia attenzione stava sui comportamenti di noi tre come musicisti, piuttosto che sugli strumenti in quanto tali – e in parte è forse questo che ci permette di esplorare territori non sempre tipici del trio con pianoforte . Un atteggiamento che permetta di sfuggire ad un modo di pensare che è semplicemente il prendere in prestito modelli esistenti – cosa che, sono sicuro, altre persone possano fare molto meglio di me. Un punto secondario qui è la strumentazione: poiché anche se al centro delle cose c’è ancora piano-basso-batteria, io faccio uso anche di un synth e di un campionatore, e Neil contribuisce in alcuni punti anche con le percussioni. Quindi, anche se l’uso dell’elettronica è in generale piuttosto sottile, l’ascoltatore percepisce in vari momenti più di tre strumenti che suonano: sicuramente qualcosa che penso aiuti a sfuggire al “bagaglio” del trio con pianoforte, che giova a noi musicisti, così come agli ascoltatori”.

Musicisti:

Alexander Hawkins: pianoforte, synth, sampler, percussioni
Neil Charles: contrabbasso, percussioni
Stephen Davis: batteria, percussioni

Tracklist:

01. Rapture 5:27
02. Puzzle Canon 06:32
03. Fuga, the Fast 4:54
04. Canon Celestial 3:17
05. Rupture 4:52
06. Sarabande Celestial 5:32
07. Unlimited Growth Increases the Divide 5:03
08. If Nature Were a Bank, They Would Have Saved It Already 2:50
09. Carnival Celestial 6:22
10. Counterpoint Celestial 6:50
11. Echo Celestial 4:40

Link:

Alexander Hawkins

Intakt Records