ROBERTO OTTAVIANO & ALEXANDER HAWKINS
Charlie's Blue Skylight
Dodicilune dischi ED531
2022
Il carismatico contrabbassista permane insomma maiuscolo quanto problematico portatore d’umanità, che ha caricato (e rigettato) quasi ogni implicazione del suo tempo e che a tutt’oggi non si sottrae alla statura di modello, i cui contributi innovativi riescono oggi sfumati nella selva quanto meno babelica degli idiomi del jazz contemporaneo, ma lasciarono segni molteplici ed impulsivi nei tempi decisamente fondativi che egli contribuì a rivoluzionare.
Posto che la label salentina, in virtù del suo vastissimo catalogo, ha potuto enumerare una serie già consistente di incisioni tematiche, rievocative di diverse personalità storiche (si ricordano en passant Billie Holiday, Ornette Coleman, Bill Evans, Steve Lacy, Thelonious Monk etc.) nel caso specifico non trattiamo di una dedica con licenza spiccatamente re-interpretativa, ma piuttosto rileviamo una rievocazione in parte letterale dei materiali, e che nella sostanza s’esime da spregiudicate modernizzazioni. E sulla valutazione dei medesimi indichiamo più che andare a memoria, piuttosto un ascolto in parallelo con gli originali, che ne attesta di fatto un sostanzialmente rigoroso rispetto formale.
Si fugga il dubbio che l’intro di solo-sax (Canon) interpretato in sovraincisione dal soprano sia una pura licenza creativa, essendo una rilettura in parte imitativa dal brano originale, e più avanti i passaggi di piano-solo in forma apparente di liberali sketches riescono quali elaborazioni dei tappeti ritmico-melodici di riferimento.
Si capta lo spirito di partenza (dobbiamo giusto adattarci a rinunciare alla fremente parte solistica del contrabbasso e alla verve della brass-section) in Hobo Ho, rendendo ampia giustizia al brano tratto da “Let My Children Hear Music”; più libero il trattamento nel caso di Remember Rockfeller at Attica, in cui l’ancia adotta un’attitudine pensosa entro un serotino languore, e la parte pianistica piuttosto de-struttura la spedita concezione ritmica dell’originale.
Anticata verve anarcoide in Dizzy Moods, che conferisce un obliquo e caustico spirito ‘southern’ al carattere da music-hall del brano di partenza; l’articolazione e lo spirito discorsivo dell’iconica Pithecanthropus Erectus vengono riproposti, dopo le introduttive onomatopee, con spunto dialogico cui riescono parimenti contributivi l’assertiva e fluente linea di Roberto Ottaviano ed il dinamico istinto architettonico di Alexander Hawkins.
“Quasi” un incanto lacyano nel lirico attacco da Free Cell, Block F Tis Nazi U.S.A., sostenuto ancora una volta dalle nitide figurazioni del soprano, che disincarnano il marciante spirito del brano di partenza; molto calzante la scelta del conclusivo titolo (Us is Two), ballad intessuta su importanti increspature pianistiche, configurando uno dei più salienti momenti di “verità” del dialogo in musica.
La sinergia tra i talenti in oggetto non è nuova ma, dopo la comune dimensione in collettivo, era evidentemente tempo che il solido sassofonista e docente pugliese si cimentasse vis-à-vis con la nitida personalità del pianista-tastierista e orchestratore da Oxford.
Forte, il primo, di un’attività procedente in concretezza dagli anni ’80, dichiarato seguace della linea di Steve Lacy, pur rielaborata con modalità personali sui cui si riflettono le eterogenee produzioni a titolo sia collaborativo che personale e in buona parte una dominante cantabilità di spiccata impronta mediterranea. Della successiva generazione il talentuoso pianista britannico, ultimamente attivo in differenziate operazioni in ensemble, ma non nuovo alle esperienze duali e già firmatario di un esemplare solo-album, le cui ispirazioni spaziano tra Art Tatum a Thelonious Monk, che annovera nelle fila mingusiane antecedenti di peso come un Mal Waldron, ma di cui s’avvertono analogie pure con il modernismo di Cecil Taylor o Mariyn Crispell (e diversi passaggi anche del presente album ne daranno ragione).
Riteniamo che codesti materiali nel passaggio da studio a palcoscenico, come di regola, matureranno ulteriori punti di forza durante il relativo tour, partente proprio in questi giorni; per quanto dato valutare dalla fissazione discografica, il raffinato lavoro conferma il profilo di due individualità distinte, assortite ma sinergiche la cui (comune e contributiva) lettura dei materiali mingusiani riesce rispettosa in misura sia letterale che adattativa. Consci delle incombenze e delle implicazioni di libertà di ogni operazione rievocativa, la selezione qui proposta si smarca dalla dimensione dell’omaggio fine a sé stesso e, rilevando il diretto commento di Ottaviano: “Credo sia passata l’età degli “omaggi”, e l’omaggio migliore consiste nel far comprendere che il corpus compositivo e strategico, insieme al pensiero, di un artista vale ancora la pena di essere “usato”. Poi, ancor meglio se Alex ed io funzioniamo ad un livello alchemico”.
Si può concordare nella sostanza, ritenendo che il continuum vitale di una personalità non cessi al suo trapasso, rilevato quanto ne discenda nell’operato dei successori; prodotto di un difficile amalgama tra narcisismo e rabbiose prese di coscienza, il lascito mingusiano incorpora un ennesimo contributo, per il quale non focalizzeremo sul ‘senso’ di un’ulteriore riesposizione, quanto sul valore contributivo di una ponderata (ed aggiornata) neo-incarnazione.
Musicisti:
Roberto Ottaviano, sax soprano
Alexander Hawkins, pianoforte, Fender Rhodes
Tracklist:
01. Canon 3:02
02. Hobo Ho 3:51
03. Remember Rockfeller at Attica 4:39
04. Oh Lord, Don’t Let Them Drop That Atomic Bomb On Me 4:07
05. Dizzy Moods 3:59
06. Smooch A.K.A Weird Nightmare 7:52
07. Pithecanthropus Erectus 4:38
08. Free Cell, Block F Tis Nazi U.S.A. 5:29
09. Self Portrait In Three Colors 7:12
10. Haitian Fight Song 4:34
11. Us Is Two 5:15
All compositions by Charles Mingus
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