Lui, Silvio Capeccia, storico fondatore con Enrico Ruggeri dei Decibel, formazione tornata agli onori della cronaca dopo circa 40 anni di sospensione, dopo quel battesimo punk che diedero al pop mainstream dell’Italia degli anni ’80. E se da una parte sono tornati con nuove scritture inediti degli ultimi tempi, dall’altro lo stesso Capeccia veste i panni di pianista classico, moderno, avanguardista in un certo modo, e ripercorre i più grandi successi dei Decibel con un piano solo davvero interessante e ricco di fascino. “Silvio Capeccia plays Decibel”, suddiviso in “Piano Solo 1” e “Piano Solo 2”, due capitoli discografici che troviamo ovviamente dentro i tradizionali canali digitali e che sfoggiano una fantasiosa ambizione di tradurre la forma canzone, pop e punk che sia, in quelle che sembrano e suonano come composizioni per piano solo. Un lavoro di totale immersione che offre anche la scusa ghiotta di riscoprire brani anche meno celebrati della band di “Contessa”… inevitabile sottolineare come il risultato sfoggi una “violenza” estetica da vero pioniere.
Il pianoforte da solo è uno strumento assai difficile da registrare. Il tuo suono sembra strizzare molto l’occhio al moderno, fatto di un suono compatto e colorato di pochi riverberi. Non so bene come altro spiegare le mie impressioni che magari sono anche poco corrette. Tu che mi dici?
Impressioni corrette. Non sono un pianista classico, come specificato anche nella copertina del precedente “Piano solo 1”; i miei punti di riferimento sono stati i tastieristi rock e new wave come Dave Greenfield (Stranglers), Billy Currie (Ultravox), Ron Mael (Sparks) e più indietro nel tempo Ray Manzarek (Doors). Nel progetto di rilettura pianistica del repertorio Decibel ho volutamente cercato un suono compatto ed asciutto, in linea con un materiale sonoro lontano dal mondo della musica classica.
Il suono dei Decibel, anzi la scrittura, delle volte sembra davvero pensata per un pianoforte. E ho in mente brani come “Il viaggio del cervello” o “Indigestione Disko” ad esempio. Hai “riscritto” qualcosa per accogliere il solo piano?
Le canzoni dei Decibel, sia le più lontane nel tempo (album “Punk” e “Vivo da re”) che le più recenti (album “Noblesse oblige” e “L’Anticristo”) sono caratterizzate da una notevole varietà armonica di base, in contrasto con la limitatezza di accordi tipica di tante band del periodo punk. Ciò ha favorito la mia possibilità creativa: gli accordi di base ed alcuni spunti sono quelli originali, ma l’ampia tavolozza offerta dal pianoforte mi ha consentito di riscrivere i brani trasportandoli in un un’altra dimensione, più intima ed avvolgente.
Hai incontrato brani decisamente difficili da rendere con un pianoforte soltanto?
Con la esclusione dei brani nati al pianoforte (uno per tutti la ben nota “Contessa”) ogni canzone era potenzialmente difficile da rendere al pianoforte, dato che era stata concepita per basso-batteria-chitarre-tastiere. Il mio approccio è stato quello di evitare un semplice ri-arrangiamento, per creare su ogni canzone un mondo sonoro a sé stante.
E in fondo, domanda assai banale ma inevitabile, che cosa ti ha spinto ad intraprendere questo viaggio? Che bisogno cerca di sopperire questo lavoro?
Non esiste una motivazione razionale (né tantomeno commerciale) all’idea di un progetto che preveda la rilettura pianistica del repertorio di una band come i Decibel che del punk e della new wave inglese ha fatto la sua bandiera. Anzi, direi che uno schietto pragmatismo avrebbe spinto magari a revisioni spruzzate di rap o di latin mood. No, siamo stati rivoluzionari anni fa quando introducemmo il punk rock nel panorama melodico italiano, e ritengo che oggi un progetto Piano solo per brani dei Decibel conservi una sua matrice rivoluzionaria ancora più marcata. Mi piace suonare ed è stata davvero una sorpresa osservare questi brani, suonati per anni con la mia band, dalla affascinante angolazione che il pianoforte è in grado di offrire. Credo proprio che l’ascoltatore potrà apprezzare l’energia e la passione che vibrano in ogni singola traccia dell’album.