Un titolo didascalico per questo lavoro che dimostra sfacciatamente quanto alla vita ha chiesto l’ispirazione di liriche e di suoni. Semplice, liquido nel suo fluire senza intoppi che troppo spesso, a forza di essere trasgressivi, si finisce per tornare all’ovile con le caviglie gonfie. “Ergonomia domestica” non si allontana da quella casa che un tempo era dei nostri padri. “Ergonomia domestica” è il nuovo disco del cantautore toscano Andrea Lovito, ANCE per la cronaca, e sappiate che lo troveremo presto in una dimensione LP 33 giri e da subito in digitale dal suo Bandcamp. Ma non c’è modo di ascoltarlo gratis con i vari canali di streaming. La musica si paga, è un mestiere…

Facciamo un passo a latere: musica d’autore italiana, composta e matura, suono che incornicia uno storytelling di vita appunto, la vita di questi anni pandemici ma anche quella che accade sempre, dispotica, assurda, paradossale, romantica e delicata. Canzone pop, di blues, canzone ruvida di rock alla radice, “Ergonomia domestica” fa anche della sana critica sociale, fa dell’ironia, autoironia anche, altro segno questo di intelligenza che non guasta. Indaghiamo e facciamolo con la delicatezza che merita una voce fuori dal coro… che la cultura quotidiana non è mai attenta alle voci fuori dal coro. Ovviamente…

 

 

Canzoni di casa, ma anche di vita fuori casa. Quando nasce questo disco? In che tempo e in che vita, visto che c’è un prima e un dopo la pandemia?

Lo “switch” nella mia vita avviene poco dopo la pubblicazione dell’EP “Tradizione Commerciale” nel 2013. Da lì mi sono trasferito da Empoli a Firenze, lavorando come animatore e musicoterapista con il disagio psicofisico e la salute mentale. Nel giro di quattro anni mi sono ritrovato a traslocare ben tre volte, sono diventato padre di Stefano nel 2014 e di Anita nel 2017. E proprio quando pensavo ormai di appendere la penna al chiodo (in qualità di autore) per bassa autostima nei confronti del “sapermi vendere”, improvvisamente le botte emotive mi riportano a scrivere, come unica cura di affrontare il cambiamento. La prima canzone è stata Eccoti, abbozzata due mesi prima e conclusa nei quattro mesi dopo la nascita di Stefano. Ero consapevole di essermi messo “a nudo” scoprendo il mio lato più intimo. Da lì sono venute pian piano le idee per le altre canzoni, che girano attorno al tema della casa, fino ad arrivare al marzo-aprile 2020, quando ho scritto Chiuso in casa, una sorta di chiusura del cerchio.

 

E nell’attraversare questo tempo, non hai sentito il bisogno di dare nuova veste a certe canzoni o a certi suoni?

La verità? No. Anzi, forse sì se avessi incontrato in questo arco temporale spunti interessanti o innovativi… dico forse, perché in realtà ho sentito l’esigenza di restare su un sound “classico” per queste canzoni, un sound che rispecchiasse il mio stato d’animo quando le ho scritte.

 

Con Gianfilippo Boni torni a sfornare un suono pop decisamente pulito e classico. La ricerca in che modo ha trovato spazio? Se ne ha trovato…

Ogni disco che ho inciso è sempre stato differente dal precedente: il primo folk-rock, il secondo elettronico lo-fi, il terzo jazzato, il quarto e il quinto con una band di cinque elementi e spaziare ogni genere musicale su una base pop. Ho scritto brani con improvvisi cambi di metrica, di atmosfera, con quattro generi in tre minuti. Era venuto il momento di “riportare tutto a casa”, le canzoni stavolta sono venute semplici, immediate… e per la registrazione abbiamo optato per la presa diretta, senza autotune e con spazio agli assoli (di un grande Giuseppe Scarpato).

E quindi che dimensione e che significato ha per te la canzone d’autore? Oggi soprattutto…

La canzone d’autore è il mio punto focale, la base di tutto. Penso che non morirà, anzi, porta con sé la massima libertà di espressione, di idee e suoni. Ma non è facile continuare a crederci. Tutte le volte dico che “faccio questo disco come fosse l’ultimo” …. e non è un caso che a 42 anni l’idea di sbattersi per trovare gli elementi giusti con cui suonare, le serate nei locali, senza trovare un management, un booking, e autopromuoversi solo sui social, con la speranza di farci almeno pari, ti può venir l’idea di gettare la spugna. Ma poi capita di riscrivere canzoni e cosa fai?

 

Un disco che non ha supporto fisico ma non ha neanche uno streaming. Un disco che non esiste praticamente… come la vivi?

Il supporto fisico c’è, in formato cd a tiratura limitata, e ci sarà in vinile. Il vinile è sempre stato un sogno nel cassetto, e per il quale purtroppo devo aspettare i tempi della fabbrica che con le riaperture post pandemia ha dato priorità alle major e mi ha ritardato di 3 mesi la consegna. Per quanto riguarda lo streaming, ho concesso solo i singoli Anche se ed Ergonomia domestica. Non mi piace affatto la logica dello streaming, che è legato per convenienza solo alle grandi produzioni. Faccio musica non per sfondare al grande pubblico, del quale avrei anche un po’ paura, e non mi interessano le apparizioni tv nei talent, i numeri, le classifiche, piuttosto perché ho ancora delle cose da dire.

A chiudere: posso chiederti perché l’omaggio finale ai Love?

La versione originale di Everybody’s gotta live contenuta in “Real to reel” al primo ascolto mi entusiasmò da subito, l’avrei voluta scrivere io. Mi piace la sua coralità, il rito collettivo del vocalizzo e del mantra (non a caso Arthur Lee si ispirò a Instant Karma di John Lennon). Il testo avrei potuto personalizzarlo di più ma l’ho adattato nella mia lingua pensando al significato ed al suono delle parole, nel massimo rispetto dell’autore. E dopotutto la tematica poteva starci bene col resto, mi è sembrato un bel modo di chiudere il disco.