Lo scorso 9 Marzo è uscito “Iremia”, il nuovo singolo figlio della fervida creatività compositiva del talentuoso pianista Dan Costa. Ispirato alla magia delle isole mediterranee, con il nobile intento di comunicare un caloroso messaggio di pace è stato registrato fra gli Stati Uniti e l’Italia, qui presso lo studio Artesuono di Stefano Amerio. Al fianco di Dan Costa, uno dei grandi nomi del jazz (e non solo): il trombettista Randy Brecker
Daniel Greco Costa è nato nel 1989 a Londra da una famiglia italiana e portoghese. Inizialmente ha studiato pianoforte classico per sei anni presso l’“Académie de Musique Rainier III” nel sud della Francia, nonché jazz; ha composto il suo primo brano a soli dodici anni. Nel 2010 ha conseguito un diploma con merito presso il “Liverpool Institute for Performing Arts” di Sir Paul McCartney in Inghilterra, ma il forte interesse per le sue radici latine, congiuntamente alla sua passione per il jazz, lo hanno portato a studiare alla “Escola Superior de Música e Artes do Espectáculo” in Portogallo, dove si è laureato in pianoforte jazz nel 2015.
Nel gennaio 2016 ha registrato il suo album di debutto Suite Três Rios a Rio de Janeiro, in Brasile, con musicisti come Jaques Morelenbaum, Ricardo Silveira, Teco Cardoso, Rafael Barata, Marcos Suzano e Leila Pinheiro. Ha raggiunto la prima posizione nella classifica Jazz di iTunes e nella Top 10 di tutti i generi in Portogallo, prima di conquistare la prima posizione nella classifica CMJ Top Adds negli Stati Uniti ed essere la top 10 per diverse settimane su Roots Music Report. Uno dei migliori album dell’anno per Down Beat Magazine, ha ottenuto recensioni entusiastiche da paesi come Stati Uniti, Russia, Canada e Brasile.
A maggio 2018 ha registrato il suo nuovo album Skyness per Artesuono in Italia. Il brano Compelling è stato presentato da JAZZIZ Magazine nel loro album dell’estate 2019. Nel 2020 ha registrato il singolo Love Dance con Ivan Lins e pubblicato il suo primo “Piano Solo”, album dal vivo Live in California, inciso durante la fase finale del suo tour internazionale. È arrivato secondo nella classifica dei migliori album di latin jazz di Roots Music Report per l’anno 2020 ed è stato elogiato da diversi critici.
Innanzitutto partirei da una domanda sulla genesi di questo singolo, e su come è nata la collaborazione con Randy Brecker.
Questo brano è ispirato dalle Cicladi, in Grecia, e più precisamente dall’isola di Paros, dove ho vissuto per alcuni anni, il cui paesaggio luminoso raggia di armonia. Iremia, ossia pace interiore in greco, è il titolo che ho scelto per sintetizzare l’effetto dell’insieme visivo circostante che l’armonia sonora avrebbe poi tradotto in musica. Randy Brecker l’ho contattato spontaneamente via mail inviandogli una versione per piano solo alla quale ha risposto con entusiasmo, dicendo che sarebbe stato lieto di partecipare. Oltre ad aver collaborato con artisti jazz americani quali Art Blakey e pop britannici come Eric Clapton o Elton John, Brecker ha anche lavorato con alcuni degli artisti brasiliani con i quali avevo già registrato a Rio de Janeiro nel 2016, quindi avevamo qualcosa in comune, dato che molta della mia musica ha un forte legame con il Brasile.
Questo brano preannuncia l’uscita di un nuovo disco?
Questo brano è un singolo a parte, che sembra inneggiare alla pace in un periodo sfidante. Nel 2020, ho lanciato un singolo con Ivan Lins, interpretando il brano Love Dance, scritto dal cantautore carioca con Williams e Peranzzetta, la cui prima versione risale al 1980, cantata da George Benson. È stato un momento davvero speciale, e non credo che tutti i singoli debbano per forza far parte di un album. Un singolo, così come un album, racconta una storia. Ci sono anche libri con un solo capitolo.
Suoni in solo, in duo e in formazioni allargate, in quale di queste dimensioni ritieni di esprimere meglio la tua musica?
Bella domanda, dato che tutte le formazioni possono offrire delle sensazioni e dei colori spettacolari. Ciascuno degli album lanciati finora ha una formazione diversa. Nel primo, infatti, la maggior parte dei brani sono stati eseguiti in sestetto, con diversi ospiti speciali, la cui diversità ci ha permesso di raggiungere diverse sfumature che non sarebbero state possibili altrimenti. Pensi, ad esempio, alla percussione di Marcos Suzano nel brano Baião, al pandeiro in Chorinho o al violoncello di Jaques Morelenbaum nel pezzo Alba, il cui intento di ricordarci universi musicali come quello del compositore Villa-Lobos arricchisce il brano, soprattutto nell’interazione con il pianoforte e sassofono nell’assolo finale. Il secondo, Skyness, è più intimista e per certi versi minimalista, nonostante la diversità armonica di brani come Compelling. In questo pezzo, infatti, mi è piaciuto molto interagire con il flauto, uno strumento importante nella musica indigena del Brasile, ma anche con le diverse chitarre presenti, quali quella portoghese in Lisbon Skyline, la cui ricchezza timbrica ci ricorda l’anima del fado, quella acustica in Sete Enredos, un brano scritto a Granada, oppure Tempos Sentidos, registrato con uno dei creatori del movimento bossa nova, Roberto Menescal. Il terzo album, registrato dal vivo in California, mi ha permesso di dialogare in un modo chiaro e diretto con il pubblico e dunque con maggiore libertà, dato che ero da solo al piano.
Come nasce la tua passione per il Jazz?
Le lezioni di piano classico che frequentavo durante la mia adolescenza mi portavano ad eseguire pezzi di compositori eccelsi come Bach, Mendelssohn, Mozart o Schubert. Siccome mi piaceva molto leggere a prima vista, spesso riuscivo a suonare brani classici interi senza averli studiati prima; inoltre, siccome certi motivi all’interno di questi pezzi si ripetevano, iniziavo naturalmente ad improvvisare per intraprendere altre strade. Infatti ciò che mi piaceva del jazz erano anche le progressioni armoniche che, per chi veniva dal classico, erano poco convenzionali, e fornivano dunque una libertà composizionale che più tardi avrei abbracciato nelle mie composizioni. In questo contesto, uno dei primi brani jazz che ho suonato è stato O Barquinho di Menescal, un inno della bossa nova che è stato interpretato persino da Ella Fitzgerald. Da piccolo mi piacevano molto i ritmi brasiliani quindi questo primo contatto con il jazz attraverso il genere brasiliano è stato più che naturale, per non parlare dell’universo lusofono con il quale sono cresciuto.
Hai dei punti di riferimento, dei musicisti che ti ispirano e che hanno influenzato il tuo modo di comporre e di suonare?
All’università ci chiedevano di trascrivere gli assoli di artisti inconfondibili come Keith Jarrett, Chick Corea, Wynton Kelly, Red Garland e Bill Evans. Sebbene mi piacesse molto creare, associando il jazz all’improvvisazione e dunque a qualcosa di personale, suonare gli assoli di altri mi ha permesso comunque di approfondire le mie conoscenze riguardo gli elementi stilistici che caratterizzano la loro musica, nonché la loro epoca musicale. Mi ricordo che nel primo anno volevo portare all’esame la versione di Tete Montoliu di Giant Steps di Coltrane, che mi sembrava ottimo per la destrezza. Alcuni credevano fossi impazzito, ed invece l’esame l’ho superato, nonostante la lunghezza e rapidità dell’assolo del pianista catalano. Più tardi, studiando in Brasile, ho conosciuto vari pianisti come ad esempio André Mehmari, César Camargo Mariano, Egberto Gismonti e Fábio Torres, tutti uniti da una voglia costante di unire i ritmi brasiliani e il jazz. Una voglia anche presente nel fenomenale Michel Petrucciani, la cui musica rispecchia varie sfumature dell’universo musicale brasiliano.
Con quale musica è cresciuto il Dan Costa adolescente e cosa ascolti ora?
Oltre ai suddetti musicisti di jazz strumentale, mi piaceva soprattutto la musica vocale e cantavo diverse canzoni. A casa si ascoltava tanta musica italiana. Certe canzoni degli anni ‘80 e ‘90 di Morandi e di Dalla, ad esempio, sono state fondamentali nel mio percorso musicale. Volevo, in effetti, intraprendere la strada pianistica per capire come funzionassero armonicamente. Il fado portoghese e la canzone napoletana erano anche molto presenti, date le mie origini, e le loro melodie orecchiabili. Ascoltavo sia artisti brasiliani come gli eleganti Emílio Santiago e Leila Pinheiro, con la quale avrei registrato in Suite Três Rios, che artisti pop del paese in cui sono nato, Elton John, Sting e Paul McCartney. Infatti, mi sarei poi diplomato nella scuola di quest’ultimo a Liverpool prima di dedicarmi al jazz e il primo pezzo pop che ho suonato è stato Imagine di John Lennon – coincidenze? Chi lo sa. Negli ultimi anni mi sono concentrato molto di più sulla musica strumentale, più trasversale, e oggi come oggi ascolto musica classica e jazz moderno. Mi piacciono soprattutto le big band moderne. Che armonia!
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