Se oggi ascoltiamo e apprezziamo tanto l’hard rock e l’heavy metal, probabilmente lo dobbiamo in buona parte ai Wishbone Ash, addirittura Steve Harris degli Iron Maiden in un’intervista dichiarò che per capire i loro primi lavori bastava ascoltare ARGUS dei Wishbone Ash… se lo dice lui!
La band originaria si formò verso la metà degli anni 60 in una piccola cittadina del Devon, Torquay in Gran Bretagna dove i fratelli Turner, entrambi chitarristi e con l’aggiunta di Phil Hesketh alla batteria formarono i Torinoes. Solita gavetta, cambi di formazione, nome e città nel corso degli anni li portarono infine all’incontro con Miles Copeland (fratello di Stewart Copeland, batterista prima di Curved Air e poi di Police) manager in erba, che si adoperò per trovare un nuovo chitarrista, visto che Glenn, uno dei due fratelli fondatori della band decise di abbandonare il gruppo. Arrivarono ben due chitarristi Ted Turner (stesso cognome ma nessuna parentela con Martin) e Andy Powell che sarebbero stati, nel corso degli anni a venire, l’anima blues/rock del W.A.
Da quel momento lo show business cominciò a girare nel verso giusto, nel ’69 si fecero notare dal pubblico dei concerti, aprendo gli show ai Ten Years After, Black Sabbath e altri fino a quando un certo Ritchie Blackmore chiarrista dei Deep Purple, li notò una sera che aprirono un loro concerto e li presentò alla MCA Records dove ottennero finalmente un contratto.
Il loro debutto discografico avvenne nel 1970, con un album che portava il loro stesso nome e che conteneva brani che per anni i W.A. avevano portato in giro nei locali e nei concerti. La vena progressive era evidente nella costruzione dei brani, così come i richiami al folk nelle voci, ma la matrice hard la faceva da padrona soprattutto con l’uso delle chitarre che erano diventate il marchio di fabbrica del gruppo. Riuscivano a creare intrecci ritmici senza mai sovrapporsi o darsi fastidio l’un l’altro, e nelle esibizioni dal vivo lo si intuiva chiaramente che entrambi i chitarristi lavoravano insieme per il gruppo e non per mettersi in evidenza a discapito dell’altro.
L’anno successivo arriva nei negozi Pilgrimage, un altro ottimo prodotto che questa volta strizza l’occhio al jazz-rock, i brani strumentali sono più di quelli cantati e il disco arriva alla posizione n. 14 della classifica di vendita in Inghilterra. Durante le registrazioni, negli studi è presente John Lennon a cui era stato raccontato delle notevoli performance di Turner come chitarrista, infatti lo volle con lui per fargli incidere l’assolo presente nel brano Cripled Inside, che verrà incluso poi nell’album Imagine.
Arriviamo al 1972, quando vede la luce il disco forse più apprezzato dei Wishbone, quel ARGUS che tutti citano per indicare ‘l’opera’ della band inglese, e non a caso è quello che vende di più. E’ il periodo dei concept album ed anche questo pare non sfuggire alla regola, nessuno del gruppo conferma ma l’ambientazione da ‘leggende e guerre celtiche’ dei testi, ben supportati da un ritorno più marcato al progressive e dalla bellissima cover prodotta dallo Studio Hipgnosys, porta inevitabilmente a queste conclusioni, peraltro mai smentite ne da Andy Powell ne dagli altri della band.
L’anno seguente segna la prima avvisaglia di un calo d’ispirazione degli autori, non è un buon momento per WISHBONE FOUR (il quarto album che nasce tra episodi sfortunati come il furto di tutta la strumentazione durante un tour in America e conseguente annullamento delle successive date e un ricovero d’urgenza per Martin Turner appena rientrato in Inghilterra) che ricordiamolo, avrebbe almeno dovuto tenere il passo del precedente capolavoro, quell’Argus mai più avvicinato da nessun altro lavoro della band. Intanto la MCA continua a voler sfruttare il momento favorevole per le vendite e preme gli autori affinché si producessero in nuove session per tirar fuori altri dischi.
E’ così che viene pubblicato un doppio live tratto da registrazioni fatte durante un tour del 1973 in Gran Bretagna. Qui ci troviamo il meglio della produzione Wishbone, le chicche sono tutte qui suonate in modo superlativo e la band è al meglio, sezione ritmica possente e precisa, le due chitarre indiscusse regine del palco a rincorrersi tra una nota e un assolo, l’hard qui si sente molto più chiaramente rispetto ai dischi in studio, loro sono soprattutto una ‘live band’. Da segnalare una stupenda versione del brano di apertura del concerto The King Will Come e Throw Down the Sword, altra perla. Una versione da 17 minuti di Phoenix (dal loro disco d’esordio), una psichedelica The Pilgrim (da Pilgrimage) e quasi tutto il secondo lato di Argus riproposto in versione, se possibile, più hard.
Per chiudere, una piccola nota a margine: nel corso degli anni questo disco – LIVE DATES, che raccoglie il meglio della produzione dei W.A. – l’ho acquistato tre volte… l’ultima tre giorni fa, invogliato da una recensione di Argus che mi ha fatto tornare la voglia di riascoltarlo.
Buona musica a tutti
Tracks:
The King Will Come
Warrior
Throw Down The Sword
Rock ‘n Roll Widow
Ballad Of The Beacon
Baby What You Want Me To Do
The Pilgrim
Blowin’ Free
Jailbait
Lady Whisky
Phoenix