“Basta unire i puntini” è già di suo un titolo ricco di ispirazione, di visioni favolistiche ma anche di morbidissime derive ad un’età avanzata, alle settimane enigmistiche, a quel tempo della vita in cui tutto scorre lento… ispira tantissimo questo bellissimo “nome” che è stato dato ad un disco in cui il famoso paroliere Alberto “Caramella” Foà scende in campo anche con la sua voce, il suo nome, la sua vita e non solo con le parole da lasciar masticare ad altri. Questa volta è lui il protagonista del suo mondo. Un disco “classico” che, come ci dirà lo stesso Foà, significa più qualcosa che sa come ignorare i tempi e le mode, che sa come andare oltre tutto questo e che in definitiva ha dentro di sé la libertà di essere e non la schiavitù di apparire. Un disco di liriche preziose, di artigiani impegnati e di grandi collaborazioni… un disco che somiglia ad un ritrovo vero, un’alcova gentile e calorosa, dove prima di tutto esiste l’uomo … e poi, forse, le sue derive digitali. Ma di queste importa assai poco nel mondo reale e “classico” di un bellissimo disco come quello del cantautore – possiamo dirlo questa volta – Alberto “Caramella” Foà.

 

Un disco di grande eleganza, eleganza di altri tempi. Quanta classicità dentro il suono di questo tuo primo disco personale… perché questa direzione, oggi, in un tempo così proiettato al futuro?

Intanto, magari mi sbaglio, ma non credo che nel futuro, almeno quello non immediato, la musica sarà ancora figlia e nipote degli schemi e della deriva che il settore pare avere imboccato; c’è spazio, spero, per alcuni ripensamenti. Poi, per quanto mi riguarda, ho voluto realizzare questo album secondo i miei gusti, senza stare a sentire i tanti “guarda che adesso si fa così”. Aggiungo, che a parte il caso mio e di questo disco, “classico” non è sinonimo di uguale e omologato (come avviene invece per le produzioni cosiddette moderne) e in più sottintende la possibilità di andare oltre tempi e mode del momento. Tutto sommato, per fare alcuni esempi di ambito musicale – e senza accostarmi loro nella maniera più assoluta – Beethoven, Battisti etc etc qualche disco l’hanno venduto e continuano a venderli anche senza i like e i social, addirittura senza il web… La produzione rivelazione dell’anno è quella di Ornella Vanoni, che non è stata scoperta esattamente ieri…

 

In un tempo in cui la gente dietro i social fa a gara a chi grida più forte… prendendo a prestito quel che racconti in canzone. Come ti vedi dentro un modo così diverso dai suoni di questo disco?

Io non mi ci vedo proprio, perché ho scelto di starne fuori e la cosa non mi costa alcun sacrificio. Però tornando alla canzone che citi, “La strada che attraversa il bosco”, c’è anche un avvertimento a me stesso, quello di diffidare del politically correct a tutti i costi, di sapere rifugiarsi nel privato e non nelle verità prestabilite. Il sogno è sempre più vero della realtà, la verità non è mai unica e dipende dal punto o dal puntino da cui la osservi: ci preoccupiamo del cervo invasore che ci attraversa la strada quando in realtà siamo noi che abbiamo invaso il suo bosco, che poi sarebbe anche il nostro…

 

Ed è inevitabile arrivare a chiederti: perché oggi, perché ora… cosa ti spinge a lasciare i panni di “semplice autore” e a fare il passo decisivo vero la scena?

Direi che non tutti i perché hanno bisogno di una ragione, ma a parte questo era molto che mi veniva chiesto ma avevo sempre rifiutato, un po’ perché amo agire dietro le quinte e molto perché di fatto non sono un cantante altrimenti il disco lo avrei fatto quando ancora i dischi si vendevano. L’abbiamo fatto perché sentivo e sento queste canzoni molto mie, erano storie ed emozioni che in qualche maniera volevo raccontare. E poi, le avessi affidate ad altri artisti, con il cavolicchio che le avrebbero cantate rischiando di passare per pazzi. C’è una canzone d’amore dedicata a una cavalla, insomma, sarebbe stato un po’ complicato. Scherzi a parte, comunque, ero titubante prima di farlo, ma sono felice di averlo fatto e molto, molto, soddisfatto di come ci è venuto. Parlo al plurale perché “Basta unire i puntini” è un lavoro di squadra, tra amici con una comune visione. Niente autotune, niente suoni campionati, un disco vero, con un’anima, anzi più d’una…

Parliamo della produzione… dal famoso contrabbasso di Ferruccio Spinetti alle tante featuring tra cui sottolineiamo anche un Bobo Craxi… dunque un disco di incontri e di ritrovo? Un disco collettivo in qualche misura?

Un posto di ritrovo, sì. Vero, fisico, non virtuale. Una scusa per scambiarsi emozioni. E musica, passioni, esperienze, incontri, puntini…