Dalla RadiciMusic ci arriva un disco importante, di passato e di futuro, di suoni che prescindono dalla loro collocazione temporale e da tutte le geografie previste dalle cartine politiche. Suoni che poi deludono attese e sventano pregiudizi. Dal progetto InChanto che edulcorava in qualche modo la tradizione antica del neo-folk, arriva questa evoluzione nominata Synthagma Project dove il classico incontra il profetico dentro trame favolistiche anche volute da un certo mix di voce e di scrittura melodica. E accanto a rivisitazioni di testi antichi troviamo nuove partiture, mantecate da idee quasi “folli” per mano di suoni che non ci stanno a rispettare la didattica e le regole. Così in prima battuta non avremmo mai previsto una ghironda in questa forma digitale e futuristica, tanto per dirne una. Ci troviamo ad ascoltare “Onirica”, primo disco dei Synthagma Project pubblicato dalla RadiciMusic di Firenze. Ascoltiamo Michela Scarpini (voce, campana tibetana, sea drum, tammorra, chimes bells, pan flute), Daniele Nutarelli (chitarre elettriche ed acustiche, e-bow, loop machine) e Cesare Guasconi (ghironda, kantele, harmonium, indian flute, loop machine). Tracce di profondissima quiete e di inevitabile immersione spirituale. Il tutto polverizzando ogni tipo di forma canzone prima conosciuta.

 

 

Nei tempi di oggi, anche pochi mesi fanno di un disco un’opera “vecchia”… e di mesi ne sono passati per “Onirica”. È il momento di fare un resoconto? Ha raccolto quel che meritava secondo voi?

Rapportando tutto a certi standards musicali “di consumo” prettamente radiofonici, sicuramente anche pochi mesi possono determinare l’obsolescenza di un certo tipo di prodotto musicale. Ma certamente la scelta di proporre un progetto fuori dagli schemi ordinari è molto meno soggetta a rischi di questo tipo, proprio perché slegata dai generi “usa e getta” del momento. Le somme per un progetto del genere vanno fatte nel lungo periodo: purtroppo gli stop dovuti a problemi vari e adesso il rallentamento di tutte le attività, in primis quelle artistiche, non hanno permesso di presentare “Onirica” nel modo dovuto.

 

Certi di portare al pubblico un dialogo ostico e privo di connessioni con il quotidiano di oggi, secondo voi un disco del genere che mordente ha avuto nella vita che facciamo, nel pubblico che avete incontrato e che ha raggiunto?

Il nostro non è certamente un genere cantautorale legato al quotidiano. Tuttavia le connessioni con l’attualità ci sono, anche se magari espresse solo a livello “sonoro” oppure sotto forma di metafora. L’importante è che generino sensazioni nell’ascoltatore e da questo punto di vista sono molto importanti anche le location dove ci esibiamo che, se possibile, cerchiamo di scegliere con cura. Nonostante il periodo travagliato, questa estate siamo comunque riusciti a fare diversi concerti ed i riscontri ottenuti sono stati tutti molto positivi: sarà per le sonorità non convenzionali o per la presenza di strumenti particolari come la ghironda o il kantele, il pubblico rimane sempre piacevolmente colpito. Semmai ci dispiace un po’ che talvolta, da parte di addetti ai lavori, non venga messo in evidenza il fatto che i nostri suoni sono ottenuti da strumenti tradizionali opportunamente trattati e non semplicemente da tastiere. Ma può darsi che si tratti di un problema di comunicazione nostro, dando per scontata questa caratteristica.

 

Psichedelia anni ’70 dentro suoni che non hanno cercato troppo riferimenti di stile e di tempo. E qui la ghironda digitalizzata in qualche modo e tante analoghe soluzioni la dicono lunga. Cosa avete cercato di fare? Citazioni di tempo o rivoluzioni di stile?

Quello che abbiamo cercato di fare è stato, semplicemente, dare spazio a quelle influenze che non avevano trovato posto in altri progetti e di cui in questo momento sentivamo il bisogno: in piena libertà e senza troppi calcoli. E in un tale contesto la ghironda ne diventa il simbolo: strumento antichissimo, ma attualmente in piena evoluzione con l’aggiunta di corde, meccanismi, amplificazione che ne espandono le possibilità in modo incredibile.

Una curiosità. Quando ho iniziato lo studio della ghironda, tra i primi ascolti fatti ci sono stati i lavori di Valentin Clastrier, musicista eclettico, ghirondista straordinario che vanta collaborazioni con i più grossi nomi del jazz: il “precursore” della sperimentazione sulla ghironda. Conoscerlo personalmente e partecipare a diversi suoi stages è stata un’esperienza fondamentale, in particolare per questo progetto.

 

Voglio restare sul tema. Dagli anni ’70, da quel certo prog artistico fatto di visioni cosa avete preso? Musicalmente parlando intendo… visto che dal punto di vista dell’immagine i riferimenti sono oltremodo ovvi.

Sicuramente gli anni ’70 sono stati tra i periodi più prolifici per la musica: c’era voglia di novità, di sperimentazione e contaminazione tra generi diversi, un approccio alla musica a tutto tondo. E’ con questo spirito che abbiamo intrapreso questa avventura: mettendo da parte le “iperboli” tecniche (a volte fine a se stesse) che avevano caratterizzato a un certo punto soprattutto il progressive (che d’altronde non sarebbero alla nostra portata) ma piuttosto cercando di creare immagini e sensazioni con la musica, prima ancora che con la parola. Per quello che riguarda l’aspetto grafico, invece, la cura dell’immagine è una costante di tutti i nostri progetti sin dagli inizi.

 

Ho letto “Onirica” come un preludio all’evoluzione. Dalle radici a “qualcosa” non bene specificata. E non serve neanche specificarlo. In verità come va “letto” questo disco? A cosa sta portando – se sta portando a qualcosa?

Di sicuro sappiamo da cosa siamo partiti ma non sappiamo dove questo ci porterà, anche perché ogni nostro brano si presta a più chiavi di lettura. In concerto, accanto a composizioni più strutturate, dove comunque sono previsti spazi per l’improvvisazione, ve ne sono altre che possono essere eseguite in maniera totalmente diversa ad ogni esecuzione. E questo si riflette inevitabilmente nelle nuove composizioni che stanno prendendo vita gradualmente senza troppi calcoli, secondo le sensazioni del momento. Pensiamo che solo in questo modo potranno “emozionare” chi vorrà avvicinarsi ad esse.