IAN WILLIAM CRAIG | Red Sun Through Smoke

IAN WILLIAM CRAIG
Red Sun Through Smoke
FatCat records LP/CD/DL 13-38
2020

Elogio della studiata imperfezione: se ritenevamo che con le sue sfuggenti e rarefatte preziosità l’arte del giovane vocalist e sperimentatore canadese Ian William Craig avesse raggiunto una summa formale nel recente album “Thresholder”, con la successiva e presente incisione il medesimo segna di voler compiere una diversione relativa, ma non sostanziale, rispetto al proprio peculiare filone.

Ulteriormente peculiare, peraltro, anche la genesi di quest’ultimo album: è a partire da un drammatico periodo che si originano motivi e caratteri del presente “Red Sun Through Smoke”, riferimento abbastanza letterale allo straniante vissuto durante un periodo di ritiro per scrittura e registrazione nella casa familiare di Kelowna, nella Columbia Britannica, per ritrovarsi coinvolto in un immane incendio che lungamente funestò quell’area del Canada, subendo nel medesimo periodo un importante lutto parentale.

Interi giorni ad osservare il “sole rosso attraverso il fumo” in quella zona boschiva hanno determinato con drammaticità ciò che sembra un aggiornato orientamento stilistico, segnato fin dall’apertura dalla scabra e tesa  coralità a cappella che caratterizza l’iniziale Random, non immune da un potente (quanto remoto) spirito gospel ad animare il carattere lacerante delle emissioni tenorili di Craig (che recupera tale morfologia, ma in veste più sfibrata e tenue nella successiva Far and then Farther).  A tematico titolo, The Smokefallen è pervasa da un clima desolante, abitato da un frammentato e polveroso suono di pianoforte, voce dal solaio dei ricordi (e fantasmi) familiari che pervengono con modalità soffocanti ed angosciose, pesantemente velate da un opaco rovescio di pioggia sporca, ma precisiamo subito che nulla di tutto ciò è assimilabile ad una qualche soundtrack da horror-movie, trattandosi invece di materia musicale di profondo, quando arduamente condivisibile intimismo. Si apre quindi una sorta di vena lirica nel melodismo netto di Weight, tra i più fruibili saggi di forma-canzone entro la più recente serialità del Nostro, diversamente dalle vibrazioni spettrali e crude di Comma, certamente più in linea con il più condiviso stile del vocalist; seguono elettroniche ronzanti entro un paesaggismo cupo in Condx QRN, come nell’altra ripresa tematica in Open like a Loss, dallo sviluppo però ben più massivo e minaccioso e, attraversata la  disarticolata e notturna Last of the Lantern Oil (altro tema di sopravvivenza), si perviene all’epilogo nell’anodino titolo Stories, composto e catartico, a segnare l’interiorizzazione di un drammatico momento esperienziale, ultimando con alterni mezzi rappresentativi un composito album che non abdica ad un qualche progetto di completezza rappresentativa.

Fugati i dubbi delle premesse, qui ritroviamo esposti stilemi e caratteri che hanno avuto modo di stratificarsi nella già abitata discografia dell’esponente “diversamente poetico” di un insolito filone anti-Ambient, di cui possiamo ulteriormente argomentare impegno e tensione di ricerca: distaccatosi in parte dalle connotazioni esplicitamente sacrali del live “Durbē” (tematicamente fissato presso l’antica cappella dell’omonima località lettone), la drammaturgia altrove effimera e spesso sfuggente sembra qui acquisire “concretezza” come da precedenti lavori quali “Centres”. Ciò, senza smarcarsi in fondo dal proprio trademark, intessuto anche tra medievaleggianti monodie e lancinanti pulsazioni cosmiche, aprendo ad alcuni più “riconoscibili” tratti da pop-song (come in recenti album tra cui “Slow Vessels”), grazie alla presenza di liriche dal testo (più o meno) intellegibile, lo stentato impiego di un pianoforte dalla accordatura improbabile, sempre immergendo la peculiare, anticata tessitura vocale da controtenore entro un particolato elettro-vocale musicalmente destrutturato, e stazionando mercé le urticanti elettroniche fuori da ogni comune comfort-zone, sempre persistendo entro una personale solennità ed un mood compunto.

Ancora, apoteosi della ricercata imperfezione, l’assai personale soundscape che insiste su linee spezzate e di ostica leggibilità si dichiara esser ottenuto mediante “nastri danneggiati su registratori guasti” (semplificando sul sofisticato trattamento in post-produzione del materiale) – attingendo all’elaborato quanto paradossale effetto di fissare una registrazione per poi corroderne l’integrità.

Consci di quanto arduo sia il voler catturare l’attenzione di potenziali nuovi ascoltatori celebrando una musicalità che coniuga contemplazione con estetica poco accessibile e (apparentemente) desolante, ci sentiamo di poter identificare l’originale vocalist e atipico sound-designer Ian William Craig quale peculiare cantore della contemporaneità e testimone del futuribile, invitando a recuperarne almeno certi scaglioni della discografia, insistendo sulla compiutezza raggiunta nel precedente “Thresholder” (2018) ma anche la mirabile opulenza editoriale del curatissimo doppio in vinile “A Turn of Breath – Extended” (Recital, 2014).

Canto di fragile tragicità che ci raggiunge da una dimensione altra, sfera emotiva inquinata ma anche posta a nudo dall’effettismo ruvido delle scabre quanto evanescenti elettroniche, interfaccia eccentrica tra esposizione border-line del dramma ed esoterismo, riescono tra le più probabili definizioni della creazione di Craig, nei segni di un sound peculiare e deviante, e soprattutto di un alieno e struggente anti-feeling.

 

 

Musicisti:

Ian William Craig: voce, pianoforte, laptop, campionature, effetti

 

Tacklist:

01. Random 1:30
02. The Smokefallen 3:07
03. Weight 06:37 4. Comma 2:00
05. Condx QRN 3:07
06. Mountains Astray 2:08
07. Take 1:33
08. Last of the Lantern Oil 5:35
09. Supper 1:39
10. Far and Then Farther 3:17
11. Open Like a Loss 6:02
12. Stories 3:23

 

Link:

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