Il V-Disc e la sua influenza sullo sviluppo della discografia moderna… ovvero: senza Hitler ed il Nazismo forse anche il Jazz si sarebbe diffuso diversamente…
Lo scenario storico
Le vicende che seguono si svolgono a cavallo degli anni Quaranta – proprio quest’anno ricorrono i sessant’anni dall’epilogo delle vicende del V-Disc – e, attraverso esse, tentiamo di riflettere su come eventi, anche a volte tragici come una guerra, possano avere risvolti assolutamente imprevisti ed inattesi, talora paradossalmente anche positivi.
Proviamo, per un attimo, ad immaginare lo spaccato del mondo negli anni ’40, neppure poi tanto lontani dai nostri ma che molti di noi, fortunatamente, non hanno vissuto.
L’America viveva, in un (quasi) tranquillo clima di democrazia, la ripresa da un periodo di crisi economica ed i primi assaggi di quell’opulenza che crescera’ poi costantemente negli anni; in tema musicale siamo in piena “golden age” del jazz, nell’epoca degli incontri e gli incroci tra i massimi esponenti del nuovo genere musicale ma anche delle forti contrapposizioni tra le correnti “bianche” e quelle “nere”, e non solo in campo musicale.
Intanto l’Europa centrale e’ attanagliata dalla morsa del Nazismo, il cui imperialismo pressa su tutti i confini; in Italia, il regime Fascista, ostacola fortemente ogni espressione artistica, quindi anche musicale, che non sia sotto il proprio controllo diretto. E, di mezzo, c’e’ il mare… l’Oceano Atlantico.
E’ giusto il caso di ricordare che, come peraltro fino a non molti anni fa, non c’erano i mezzi di comunicazione di massa come s’intendono oggi e i “media” che noi diamo per scontati; niente Internet, cellulari, niente televisione, I-Pod, ne’ CD e DVD.
Fisicamente, ci si spostava (a fatica!) da un continente all’altro con viaggi in nave che duravano settimane; le aerovie commerciali e civili, assieme al mezzo aereo vero e proprio, avrebbero presero il via solo dopo la seconda guerra mondiale, gli altri spostamenti si facevano in treni che impiegano giorni per raggiungere localita’ che oggi si raggiungono in poche ore. Le automobili erano pochissime e a volte inaffidabili, e comunque riservate a pochi fortunati appartenenti ai ceti benestanti.
Le notizie che si leggevano sui giornali e che, chi non sapeva leggere, apprendeva dai notiziari cinematografici – i famosi cinegiornali dell’Istituto Luce e le Settimane INCOM – arrivavano anche dopo giorni o settimane.
Il cinema iniziava a consolidarsi, nel senso che, superando l’epoca del muto, acquistava voce propria; la radio, che era una delle pochissime fonti, oltre che di informazione, di divulgazione musicale “di massa” dopo i teatri ed i locali da ballo, che oggi definiremmo “live”.
Il disco, si ascoltava su un grammofono a 78 giri, ancora azionato da una manovella; la corrente elettrica, l’ascensore, la telefonia, ancora organizzata in piccole reti locali, erano destinate a pochi eletti appartenenti alle classi borghesi medio-alte delle grandi citta’.
In un contesto del genere un nuovo brano musicale, un nuovo disco, poteva contare su una vita media di alcuni anni; la fruizione era necessariamente molto piu’ lenta e la produzione musicale non era, e non poteva essere, massiva come quella odierna; di conseguenza anche quella discografica era ancora abbastanza limitata.
Nelle periferie, nelle zone rurali, sulle montagne, il tenore di vita era ancora poco piu’ che post-medievale, la scarsezza di istruzione e di stimoli culturali limitava anche l’esigenza di evolvere il tenore di vita.
Tra i grandi della nostra musica, che visitavano il nuovo continente per la felicita’ degli emigranti, qualcuno, come Arturo Toscanini, risiedeva stabilmente in America; i musicisti piu’ quotati d’oltreoceano, e tra essi anche grandi jazzisti, effettuavano tournee in Europa, toccando mete ambite come l’Inghilterra e la Francia che, secondo il proprio principio di autonomia nazionalista, pur intrattenendo scambi culturali con i musicisti d’oltreoceano, andava sviluppando proprie correnti jazzistiche; la Germania manteneva invece un atteggiamento controverso riguardo alle cose d’oltreoceano; il fumettista Walt Disney, ad esempio, poteva vantare l’amicizia e la stima personale di Hitler e gli era concesso di portare le proprie strips in Germania.
Il fascismo, in Italia, in virtu’ di principi autarchici, negava tutto quanto non fosse di origine nazionale, in primis perche’ non voleva – e non era neppure in condizioni – di indebitarsi con l’estero e poi perche’ temeva che le menti potessero aprirsi a pensieri o riflessioni autonome, con conseguenze imprevedibili sulla stabilita’ del regime. Si evitava accuratamente tutto cio’ che potesse, in qualche modo, sfuggire alla censura ma, per la forte influenza del Furer e del suo regime su Benito Mussolini, se Disney era amico di Hitler e le sue storie potevano considerarsi innocui infantili scacciapensieri, Mickey Mouse e Donald Duck poterono avere il permesso di entrare in Italia ma a patto di cambiare, in nome dell’esterofobia, il proprio nome in Topolino e Paperino.
Allo stesso modo, i musicisti italiani dell’epoca piu’ spregiudicati riuscivano ad aggirare le maglie della censura ed a suonare St Louis Blues re-intitolandolo (che tristezza!) Il Lamento di San Luigi oppure Star Dust che diventava Polvere Di Stelle… e nessuno, neppure lontanamente, immaginava che si trattasse dell’inno alla cocaina, di cui i piu’ ignoravano uso ed effetti.
La Grande Guerra
La Seconda Guerra Mondiale stese per qualche anno un triste velo grigio su quasi tutte le espressioni artistiche ma paradossalmente, attraverso l’incontro-scontro forzato tra genti diverse, contribui’ indirettamente e diffondere il seme di un rinnovamento culturale destinato a cambiare radicalmente l’approccio culturale, le abitudini, il modo di vivere ed anche i gusti musicali di tutta l’Europa, aprendo le porte ad un primo vero esperimento di globalizzazione.
Il progetto V-Disc
Appena prima del coinvolgimento Americano nella Guerra, James Caesar Petrillo della Federazione Americana dei Musicisti (AFM), informava le quattro maggiori societa’ discografiche Americane – la RCA Victor, la Decca, la Columbia e la Capitol Records – che, a seguito delle sempre piu’ frequenti diffusioni radiofoniche delle opere dei propri membri, se non si fosse concordato un congruo aumento dei diritti, essi, a partire dal 31 luglio del 1942, avrebbero interrotto la produzione di dischi. Questo fatto pero’ avrebbe comportato, per molti artisti, la necessita’ di fare affidamento solo sugli spettacoli dal vivo e sui concerti per garantire il proprio sostentamento.
I discografici, inizialmente, fecero cartello e rifiutarono l’aumento cercando nel frattempo, facendo leva sui contratti, di accumulare quante piu’ registrazioni possibile, nella speranza che lo sciopero rientrasse al piu’ presto.
Nello stesso periodo, nel giugno 1941, il Maggiore Howard Bronson, ex membro della John Philip Sousa’s Marching Band, assegnato alla Sezione Militare del Welfare e della Ricreazione come consigliere musicale, propose l’invio di dischi alle truppe dislocate per servizio all’estero, convinto che, portare ad esse un pò di “aria di casa”, avrebbe contribuito a motivare i soldati e sollevare loro il morale. Coadiuvato dal Tenente George Robert Vincent, che in precedenza aveva lavorato con Thomas Alva Edison al perfezionamento dei primi fonografi, avvio’ la produzione di dischi da 16 pollici, fatti, secondo tradizione, in gommalacca, con la riproduzione di brani di trasmissioni Radio. Ma a causa della fragilita’ della gommalacca, la maggior parte dei dischi inviati giungevano a destinazione in mille pezzi.
Il Tenente Vincent sapeva che, tra i soldati, era forte il desiderio di ascoltare nuova musica, cosi’ propose al Maggiore Bronson di produrre nuovi dischi con i maggiori successi del momento attraverso uno speciale progetto discografico. Bronson condivideva l’idea ma nel budget militare non c’erano fondi da destinare ad una produzione discografica. Vincent, imperterrito, incontro l’Ufficiale Finanziario dell’Esercito, il Maggiore Howard Haycraft, e lo convinse, ottenendo lo stanziamento di un milione di dollari.
Al progetto si aggiunsero quindi Steve Sholes, Morty “Perfect Pitch” Palitz, che da civile aveva lavorato con la Decca, la Brunswick e la Columbia Records, il Sergente Tony Janak, ex ingegnere del suono della Columbia Records, e Walt Heebner, un ex funzionario commerciale della RCA, col compito di convincere Caesar Petrillo e la sua organizzazione ad interrompere lo sciopero per effettuare registrazioni originali per l’Esercito Americano. Petrillo acconsenti’ al progetto a condizione che per nessun motivo i dischi sarebbero stati usati a fini commerciali e che, a fine conflitto, sarebbero stati interamente distrutti assieme alle matrici originali.
La proposta si rivelo’ subito, per gli artisti, una grandissima opportunita’ per incidere nuovi dischi che avrebbero avuto sbocco immediato e sicuro in tutto il mondo verso un pubblico entusiasta, permettendo comunque loro di mantenere lo stato di agitazione nei riguardi delle case discografiche.
Nasceva cosi’ il progetto V-Disc, dove la V stava per Victory; i Dischi Della Vittoria, dunque. Fu disegnata un’apposita etichetta a tre colori, con rosso e blu su sfondo bianco.
Un grosso problema che Vincent dovette affrontare fu quello di sostituire la gommalacca con un altro materiale; questo era necessario per due motivi: per la fragilita’ della gommalacca e perche’, l’invasione dell’Indocina da parte del Giappone, aveva interrotto i rifornimenti della preziosa resina. Gli americani donavano i vecchi dischi, anche rotti, per riciclare la gommalacca e permettere comunque la produzione di dischi per i soldati ma con la gommalacca riciclata si degradava e si producevano dischi di scarsa qualita’ sonora. Dopo molte ricerche Vincent trovo’ che, con una combinazione di Vinile e Formvar, si potevano produrre dischi da 12 pollici robusti e maneggevoli contenenti, al massimo, quattro brani ciascuno. Solo la Columbia rifiuto’ di usare il nuovo prodotto e continuo’ a stampare dischi in gommalacca riciclata, provando anche ad utilizzare un sandwich composto da un disco di cartone rivestito ai due lati di gommalacca, per migliorarne la resistenza.
Riguardo ai contenuti, nessun genere musicale fu trascurato, quasi tutti i maggiori autori di canzoni, artisti ed orchestre di moda a quei tempi aderirono al progetto, solo tra i principali Bing Crosby, Louis Armstrong, Artie Shaw, Glenn Miller, Marie Greene, Hoagy Carmichael, Frank Sinatra e l’orchestra di Axel Stordal, Billie Holiday, Ella Fitzgerald, Jimmy e Tommy Dorsey, Benny Carter, Duke Ellington, Nat King Cole, Louis Jordan, Fats Waller, il trio di Les Paul, Count Basie, Benny Goodman, Roy Eldrige, Lester Young, Art Tatum, Dizzy Gillespie, per la musica classica Arthur Rubinstein, Arturo Toscanini e Ferruccio Tagliavini, oltre alle bande militari ed a formazioni estemporanee riunite apposta per l’occasione.
Ogni mese, durante tutto il resto della guerra, la “V-Disc” invio’ trenta nuovi dischi in tutti i porti e le basi in Europa e nel Pacifico. Bronson voleva che fosse presente almeno un disco di “marcia” in ogni invio mensile e l’orchestra di Glenn Miller registro’ perfino una versione “marcia” di St. Louis Blues.
Le registrazioni per i V-Disc furono raccolte nei teatri attorno a New York e Los Angeles, compresa la CBS Playhouse No. 3, oggi Ed Sullivan Theater, l’NBC Studio 8H, oggi casa del Saturday Night Live, ed il CBS Playhouse No. 4 rinato nel 1970 come Studio 54.
Janak, inoltre, era divenuto capace di organizzare speciali sessioni di registrazione impiantando piu’ di due quintali di attrezzature “portatili” ovunque gli artisti suonassero, sale da concerto, jazz club e perfino in appartamenti.
A stampare i V-Disc provvidero poi le maggiori aziende discografiche in ambito civile, come la RCA Victor e la Columbia Records.
Ai primi invii, destinati principalmente all’Esercito, seguirono diverse ristampe, destinate alla Marina ed alla Guardia Costiera Americane. Questo fatto comporto’ alcune incongruita’ nelle numerazioni dei dischi di diverse edizioni; ad un certo punto, pero’, le produzioni furono unificate.
Furono prodotti in tutto 905 V-Disc, per un totale di oltre 2800 brani incisi tra il 1939 ed il 1944.
Per dovere di cronaca, il sindacato dell’AFM vinse la sua battaglia ma molti esperti osservatori ritengono che lo sciopero comporto’, come effetto collaterale, una forte disaffezione del pubblico verso gli artisti.
La fine del Progetto
Alcuni nostalgici fissano simbolicamente la fine del progetto V-Disc nel dicembre del 1944, quando un aereo si inabisso’ nella Manica ed in esso perse la vita il Maggiore “trombonista” Glenn Miller.
Negli anni seguenti e piu’ precisamente sessanta anni fa, nel maggio 1949, in fase di riordino dei danni e dei disastri prodotti dalla guerra, i Servizi Armati decisero (purtroppo!) di onorare la condizione posta in origine dell’AFM: le registrazioni originali e le matrici furono “diligentemente” distrutte. I dischi avanzati nelle basi e nelle navi furono confiscati ed eliminati; anche quelli che il personale di servizio aveva in casa furono in buona parte scoperti e requisiti dall’FBI e dalla Polizia Militare. Si racconta che un impiegato di un negozio di dischi di Los Angeles sia andato perfino in carcere per il possesso illegale di 2500 V-Disc.
Fortunatamente, certi “distratti”, “inconsapevoli” o “indisciplinati” civili ed alcuni Dirigenti Militari “piu’ illuminati” limitarono lo scempio; grazie ad essi la Biblioteca del Congresso Americano possiede una serie completa di V-Disc che costituiscono un’importante testimonianza della storia americana e della storia della musica registrata, e l’Archivio Nazionale Americano alcune macchine stampatrici.
L’influenza culturale e sociale del V-Disc: pro e contro
La spinta allo sviluppo fonografico, derivata dalle esperienze fatte con i V-Disc, ha cambiato radicalmente il corso della storia della musica in generale e del jazz in particolare.
Gli eventi descritti sopra rappresentano l’ennesima conferma di quanto spesso, l’iniziativa militare, abbia contribuito a sviluppi imprevedibili nella vita civile; cosi’, alla seconda guerra mondiale, sono seguiti lo sviluppo dell’aviazione civile e commerciale e, alle tragedie di Hiroshima e Nagasaki, l’approfondimento degli studi per lo sfruttamento dell’energia nucleare in ambito civile ma anche la cura delle conseguenze degli effetti dell’esposizione alle radiazioni nucleari.
Nei giorni nostri, la diffusione dei navigatori satellitari navali ed automobilistici basati sul sistema GPS, derivano da strumenti inventati, ed utilizzati per decenni, a scopi prettamente militari; internet e’ l’evoluzione di un progetto di comunicazione nato per scopi militari.
Grazie agli scambi umani, interpersonali e culturali tra i militari Americani e la gente dei luoghi dove essi si trovarono ad operare nelle basi Americane in territorio straniero, i V-Disc si accompagnarono alle vicende piu’ disparate, furono donati, smarriti, dimenticati, abbandonati, rubati, scambiati o barattati, e chissa’ cos’altro; di fatto, comunque, sfuggirono in parte alla distruzione e passarono di mano, divenendo il materiale su cui i giovani musicisti dell’epoca postbellica, nelle principali nazioni europee, tra cui l’Italia, ebbero l’inattesa opportunita’ di confrontarsi con le tecniche espressive, compositive ed esecutive dei loro colleghi americani e se ne appropriarono adattandole ciascuno alla propria vocazione artistica.
Gli Americani furono, gia’ negli anni quaranta, un buon passo avanti anche nel comprendere che il benessere, la serenita’ ed il pensiero positivo, dei militari come di chiunque, contribuisce al buon rendimento nel lavoro come in qualunque altra attivita’ quotidiana; sembra impossibile, ma c’e’ chi, ancor’oggi, continua a non capirlo. Nel segno della ricchezza, dell’opulenza e, perche’ no, anche dell’ostentazione che li ha sempre contraddistinti, essi si presentavano all’occhio del nemico come quelli in grado di distribuire alle proprie truppe tutto quanto fosse necessario ed anche il “superfluo”, sbandierando la capacita’ di offrire ai soldati gratuitamente la musica per ballare, cantare e divertirsi: la vittoria non poteva che essere un fatto scontato!
Comunque, il V-Disc fu lo strumento principe che permise nel dopoguerra, ai precursori del Jazz italiano, come Franco Cerri, Giampiero Boneschi, Gorni Kramer, Enrico Intra, e tanti altri ancora, allora giovani musicisti, di studiare ed apprendere i segreti della musicalita’ sia nelle fasi di composizione che di esecuzione ed improvvisazione dei grandi jazzisti americani.
Ma l’aspetto importante, destinato a rivoluzionare in seguito l’industria discografica, fu la scoperta e l’introduzione nella produzione fonografica del vinile, che si rivelo’ “l’uovo di Colombo”, per la facilita’ nello stampaggio, per l’economicita’ e per la robustezza del disco finito. Senza questo materiale non sarebbe stato possibile lo sviluppo, nei tre o quattro decenni successivi a quello della guerra, della discografia di massa con l’avvento del disco a 45 giri e l’introduzione del disco “LP” a 33 giri.
La possibilita’ di registrare la musica e di riprodurla diffusamente con molta maggiore facilita’ ha, al tempo stesso, aggiunto e sottratto al modo di intendere la musica ed al suo fascino. La musica solo scritta non permette la trasmissione della componente emotiva dell’autore, che viene interpretata in base alla discrezione, all’intuizione ed alla sensibilita’ dell’interprete di turno, e l’interpretazione differisce di volta in volta, seppure in piccola parte. Il contenuto informativo della musica registrata e’ caratterizzato da un’immutabile ripetitivita’, e manca quindi in gran parte di originalita’. La fonografia, come pure la cinematografia, ha la stessa essenza della fotografia. D’altro canto, cos’e’ un’improvvisazione registrata – di per se quasi una contraddizione nei termini – se non l’istantanea di un momento irripetibile?
Il jazz, che si nutre per sua natura di improvvisazioni, di session casuali, di inventiva dinamica, perde parte del suo inafferrabile divenire ma guadagna nella possibilita’ che i suoi passaggi, i suoi risvolti piu’ reconditi, siano completamente fatti propri dall’ascoltatore, ascoltati e riascoltati, approfonditi, commentati, trascritti nota dopo nota e studiati.
Di contro, quando non era possibile registrare e diffondere la musica economicamente, una composizione priva di un certo valore intrinseco, non aveva nessuna prospettiva di sopravvivenza. Con la semplificazione introdotta dalla musica registrata e’ stato possibile pilotare il gusto di un certo pubblico aumentandone la massificazione e – facendo anche leva su una certa ignoranza e pigrizia mentale – confezionando prodotti ignobili e privi del benche’ minimo contenuto artistico, addirittura realizzati al computer e ripetuti all’infinito come tormentoni, di cui gente assuefatta ed acritica compra perfino i dischi!
Comunque, l’ampliamento della diffusione musicale significo’ per il jazz il passaggio da fenomeno popolare e folkloristico a forma d’arte nobile.
Il V-Disc oggi
Oggi i V-Disc sono diventati oggetti da collezione, che si possono trovare su qualche bancarella dei mercatini delle antichita’ tra gli scaffali degli antiquari ma, a causa del collezionismo diffuso e delle vendite on-line, anche abbastanza rari e costosi, specie quelli che riportano brani ed interpreti piu’ noti. Averne comunque uno tra le mani stimola subito sensazioni forti: chi lo ha posseduto, cosa pensava mentre lo ascoltava, quali vicissitudini ha attraversato un oggetto del genere e quali storie potrebbe raccontare?
Negli anni sono state prodotte diverse raccolte di brani riprodotti da V-Disc, prima su dischi LP in vinile a 33 giri e, successivamente, su compact disc.
Tornando brevemente alla riflessione iniziale, senza Hitler e tutte le implicazioni e le conseguenze della Grande Guerra i modi di vita, probabilmente, non si sarebbero evoluti com’e’ di fatto avvenuto; senza l’arrivo dei V-Disc in Europa la musica, ed in particolare il jazz, e l’intero concetto di diffusione musicale e di produzione discografica, come sono intesi oggi, avrebbero preso una piega forse molto diversa…