VIVA LION! e’ il solo project del rocker Daniele Cardinale. Una carriera dal sapore internazionale quella dell’artista romano classe 1982, iniziata nel 2009, quando il musicista si trasferisce in Canada e, al contempo, lascia l’indie per dedicarsi al folk; al rientro in Italia, Daniele entra a far parte del roster di Cosecomuni, l’etichetta dei Velvet. Poi e’ la volta di Roma, Toronto e Los Angeles. L’esperienza in terra americana culmina, nel Settembre del 2012, con un mini-tour californiano assieme a Claudio Falconi, chitarrista dei Grannies Club: da San Diego a Santa Monica, da Venice a Los Angeles, fino al leggendario House Of Blues di Hollywood.
Il 25 gennaio 2013 esce “The Green Dot Ep”, l’ep d’esordio di Daniele Cardinale, prodotto da Cosecomuni, mixato da Alessandro Sgreccia e masterizzato da Chris Fogal nel suo Black in Bluhm a Denver, CO. “The Thrill” e’ il primo singolo estratto, in uscita lo stesso giorno. Tutti i brani ospitano una guest: Velvet, Roads Collide, Gipsy Rufina, Megan Pfefferkorn, Milk White e altri musicisti. Quello che doveva essere un EP acustico diventa un vero e proprio collettivo, sulla scia dei canadesi Broken Social Scene. Una famiglia di cui entrano a far parte anche il graphic designer Federico Antonini e i videomakers de “Il Polimorfo”.
Sound Contest ha intervistato VIVA LION! alla vigilia dell’uscita, prevista per giugno, del suo full album.
Perche’ hai scelto di chiamare il tuo progetto VIVA LION! ?
Cercavo un nome internazionale e una parola che fosse usata sia in lingua inglese, che in lingua spagnola e italiana (VIVA). Lion invece e’ il leone: il mio nome di battesimo, Daniele, proviene dal profeta Daniele, quello che fu gettato nella fossa dei leoni ma che non venne sbranato poiche’ i leoni si addormentarono. VIVA LION! (rigorosamente maiuscolo e con il punto esclamativo) e’ un invito ad accettare le difficolta’ perche’ possono essere occasione di crescita. Viva il leone, e’ un atteggiamento positivo e di sfida alle contrarieta’.
Come e’ nato il tuo ep d’esordio “The Green Dot Ep”?
The Green Dot Ep” e’ un concept basato su una relazione a distanza Roma-Los Angeles. Le canzoni (quattro piu’ un cover) sono state scritte in poche settimane: ogni settimana suonavo via Skype uno dei brani alla mia fidanzata californiana, un modo originale di mantenere vivo un difficile, seppure intenso e sincero, rapporto a distanza (7000 miglia). Le canzoni parlano della dedizione, della speranza, del “commitment” e delle difficolta’ di una storia d’amore resa complicata dalla lontananza e facilitata dalla tecnologia. The Green Dot, il punto verde, e’ il segnale di “camera on” del Macbook o di qualsiasi laptop.
Qual e’ la principale caratteristica delle tue sonorita’?
Non ci sono batterie, tutte le percussioni sono suonate battendo mani e piedi, usando il legno e altri oggetti d’occasione, come buste, spillette appoggiate ad un piatto, ecc). Ogni traccia dell’Ep ha un ospite, ad eccezione di “The Thrill”, che e’ l’unico brano con un testo piu’ malinconico e disperato (nel concept rappresenta infatti il momento di difficolta’ del protagonista, ndr). Pur essendo una “one man band”, l’idea e’ quella di coinvolgere amici e musicisti di un certo calibro, infatti VIVA LION! viene presentato anche come una family, un collettivo.
Chi sono allora gli artisti che compaiono nel tuo Ep? Hai qualche aneddoto da raccontarci?
Velvet, Roads Collide, Gipsy Rufina, Megan Pfefferkorn, Milk White e tanti altri artisti hanno contribuito alla realizzazione del concept. Con Megan, che ha registrato in America il brano “Goodmorning/Goodnight”, e’ nata una splendida amicizia. Con Rufina siamo usciti a cena qualche volta.
Ti senti a tuo agio cantare in inglese?
Perfettamente. Ho viaggiato molto, conosco bene la lingua e ho sempre composto in inglese.
A proposito dei tuoi spostamenti da un Paese all’altro…cosa c’e’ all’estero che in Italia non si trova?
Premetto che mi sento cittadino del mondo, proprio perche’ ho vissuto per diverso tempo anche al di fuori dell’Italia. Trovo che il nostro Paese sia meraviglioso, ma molto “provinciale”. Diciamo che all’estero c’e’ molto piu’ rispetto per l’artista e per la musica in genere, qualunque essa sia.
Tra Canada e California, qual e’ il luogo dove hai trovato maggiore ispirazione?
Canada e California sono molto diversi, anche musicalmente, ma per noi europei queste differenze si scoprono poco per volta. Delle due localita’, il Canada mi ha influenzato piu’ della calda e soleggiata West Coast, anche se sono cresciuto ascoltando il punk rock californiano. Neil Young prima e tutto il nuovo folk e rock poi, soprattutto quello che viene da Toronto e Montreal, sono pieni di storia, di suoni e di buon gusto.
Come mai la scelta di chiudere il tuo album con una cover (piuttosto originale) di Footloose? Lo stile e’ decisamente lontano dal folk che ami tanto…
In realta’ ascolto musica di ogni genere. Gli anni ’80 non sono tra i mie preferiti ma, dei sei fratelli che ho, tre sono molto piu’ grandi di me e alcuni tormentoni dell’epoca li ricordo benissimo. Mi son sempre piaciute le cover stravolte. Un paio di anni fa mi trovavo in un locale per un concerto ed ho risentito Footloose: e’ stato illuminante. Cosi’ decisi di farne la cover. Il testo era perfetto per l’ep e dava compimento al concept. Inizialmente avevo pensato ad una cover molto semplice, poi in studio con i Velvet, che nel brano cantano e suonano, e’ diventata quasi irriconoscibile. Ne sono orgoglioso perche’ e’ il risultato di un lavoro di squadra e di un approccio totalmente libero alla produzione.