LAURA COPIELLO | Omaggio a Nina Simone

Laura Copiello,  apprezzatissima vocalist italiana,  con il suo nuovo album “Nina”, rende omaggio, a dieci anni dalla sua scomparsa, alla meravigliosa interprete ed autrice Nina Simone.

 

Un percorso fatto di studio e di astrazione artistica, un grande omaggio meditato con il cuore?

Più che meditato con il cuore, direi condotto dal rispetto e dalla stima immensa nei confronti di questa artista. Prima di cantare le sue composizioni e propormi come interprete di brani da lei magistralmente affrontati, ho voluto prepararmi il più possibile, per non incorrere in qualcosa che potesse essere irrispettoso nei confronti di questa figura che tanto ha lottato per la propria dignità di persona ed musicista. Per più di un anno quindi ne ho studiato la biografia, ascoltato tutti i dischi e cercato di capire da dove derivasse quel suo portamento fiero ed energico accostato ad uno sguardo spesso ricco di rabbia. Questo insieme di elementi mi ha conquistato intensamente e più ne conoscevo la vita, più mi si rendeva urgente proporre a modo mio le emozioni che questa Donna mi trasmetteva.

 

Come sono venute fuori le idee per gli arrangiamenti?

Le idee d’arrangiamento hanno trovato molte strade. In parte derivano da proposte di Claudio Conforto, in parte hanno preso forma direi quasi spontaneamente in questi anni di live in cui l’approccio improvvisativo ha spesso portato a forme musicali che si sono poi cristallizzate nel disco. La meta finale era quella di trasmettere il significato di alcuni brani creando delle atmosfere sonore, quasi dei quadri, che potessero contenere, se pur nella loro semplicità, l’immaginario di ogni brano.

 

 La scelta, azzeccatissima, di Claudio Conforto come compagno del sonoro divenire non è casuale.

Non casuale e ben ponderata direi. Cercavo un pianista che venisse dal percorso classico ma che avesse una componente jazzistica molto spontanea e fluida. Inoltre Claudio è anche un percussionista, il che esalta il suo approccio percussivo al pianoforte e gli permette di suonare il darbuka in alcuni brani del repertorio.

 

 Per non parlare delle star internazionali che ospiti.

Ospito tre grandi anime musicali che hanno abbracciato il progetto senza alcuna esitazione spesso intervenendo musicalmente senza che io dovessi dare molte indicazioni. Moulaye Niang, batterista percussionista senegalese di stanza a Venezia, dove lavora anche come mastro vetraio. Suo è il testo di “Nina” il brano di tradizione senegalese interpretato da lui nel disco. Un paio d’anni fa, mentre studiavo questo brano del repertorio di Nina, lui mi disse di averne riscritto il testo trasformandolo da un’invettiva contro la principessa Nina il cui matrimonio “non regale” aveva causato l’inizio di una sanguinosa guerra tra tribù ad un canto d’amore per questa donna che aveva osato evadere le leggi sociali per amore. Una coincidenza tale non poteva non essere documentata nel disco.

Dudù Kouatè, percussionista, flautista, cantante, polistrumentista e costruttore creativo di strumenti sonori… anch’egli senegalese. Dudù porta la tradizione di una delle più importanti famiglie di griot del suo Paese. Questo suo cantare storie, spesso legate al contesto sociale, lo rende un musicista molto attento, con una capacità di ascolto ed interazione non comuni.  Dudù ha in sè uno spiccato talento nel sottolineare i testi e le evoluzioni della musica in modo creativo e molto suggestivo.

Danilo Gallo, noto bassista e contrabbassista, anima del collettivo “El Gallo Rojo”, con cui ho collaborato in diverse formazioni: una fra tutte in trio con  Marco Quaresimin al contrabbasso. La presenza di Danilo nel disco testimonia un rapporto artistico ed umano che al tempo della registrazione, marzo 2012, era molto intenso nonchè il mio amore per il contrabbasso come strumento portante, non solo ritmico armonico ma in grado di sostenere solismi interessanti. Ne è prova la versione in duo voce e contrabbasso di “Strange Fruit”, registrata in presa diretta e basata totalmente sull’improvvisazione.

 

Quale brano senti più tuo?

Domanda molto difficile. Tutti i brani del disco ormai mi appartengono profondamente. Direi a pari merito “Strange Fruit” per il suo contenuto letterario e di denuncia, “Black is the colour” perchè tocca corde cui raramente accedo, e in assoluto “Mississipi Goddam” che ha tutt’ora una capacità di sconvolgermi che mi coglie sempre di sorpresa.                                                                          

 

Geniale il supporto artistico di Emanuela Stanganelli.

Geniale Emanuela Stanganelli! Qualche anno fa mi colpì molto la sua produzione di “teste di carta” e aspettavo il momento giusto per poter collaborare con lei. Le ho quindi chiesto di elaborare un progetto sull’immagine di Nina partendo dall’idea di fili che si dipanano da un groviglio e che vanno a formare particolari del volto di Nina. Il risultato è sorprendentemente vicino a quello che mi ero immaginata. Importantissimo anche il supporto grafico di Massimiliano Sorrentini.

 

La Blue Serge è tra le migliori etichette italiane. Come hai vissuto l’esperienza di questa registrazione con Sergio Cossu?

Come dici tu Sergio è un pilastro storico della discografia italiana. Mi ha colpito molto la sua dedizione al progetto che ha curato con me nei minimi dettagli, dalla registrazione alla produzione del disco con una professionalità e umanità non comuni.

 

Che cosa scatena il tuo approccio creativo all’improvvisazione?

Direi un’impellente bisogno di rendere sonoro un’insieme di immagini e sensazioni che mi coinvolgono a partire da diversi elementi musicali. Spesso è il testo stesso che mi porta ad una qualche personale evoluzione ma anche l’interplay con gli altri musicisti mi stimola ad inserirmi nella forma musicale che si costruisce estemporaneamente. C’è poi quell’inspiegabile rischio insito nell’improvvisazione stessa che mi attrae sempre molto: qual è il limite per cui un’improvvisazione perde di efficacia o rende vano il suo stesso crearsi? Quando un’improvvisazione allontana il brano stesso dal suo significato e quando lo esalta? Quando un’improvvisazione è talmente funzionale da non sembrare più tale ma quasi un percorso sonoro riconosciuto come premeditato, tanto è fluida e personale? Quando un’improvvisazione non è necessaria alla musica stessa? Queste domande sono quelle cui cerco di rispondere ogni qual volta improvviso, soprattutto quando il canovaccio musicale è composto da brani strutturati o con un testo.

 

 Qual è stata la personalità musicale con la quale hai condiviso una performance intensa?

Direi senza dubbio che le performance di improvvisazione che ho avuto modo di condividere con Roberto Dani all’interno del suo progetto “Forme Sonore” hanno raggiunto intensità profonde. Questo perchè l’ascolto verso la forma stessa della musica che si andava producendo rendeva intenso e significativo ogni suono, silenzio o movimento. Tale sensazione la sento e rivivo ogni qual volta partecipo ad una sessione di improvvisazione libera o meno. Faccio parte del collettivo Clang Ensemble derivante dalla nostra associazione culturale Spazio Clang, che si presta ad esecuzioni di partiture improvvisative. Una delle ultime esecuzioni è stata la prima mondiale di “Foliage” di Elliot Sharp: anche durante quella performance sicuramente l’intensità non è mancata. Mi sento di dirti però che non e’ tanto la “personalità” con cui suoni a rendere intensa una performance ma l’approccio con cui ti avvicini all’esecuzione, che per me è sempre lo stesso, si tratti di musica improvvisata, folk, jazz o qualsiasi altro genere incroci la mia strada.

 

Cosa consigli ai giovani che si avvicinano al canto?

D’impulso ti direi: cercare quell’equilibrio tra studio e divertimento, senza farsi sottomettere da aspettative proprie od altrui e dalle logiche di mercato. Pensandoci un attimo ti dico anche: la difficoltà nel canto è che si è musicisti e strumenti emozionali e fisici allo stesso tempo, quindi nessuno studio e’ mai superfluo, da quello prettamente tecnico e teorico/musicale a quello più profondo delle proprie emozioni e del proprio corpo. Se poi si decide di intraprendere la professione sono sicuramente necessarie dedizione, pazienza, sacrificio e molta fortuna.

 

Cosa accadrà nel breve nella tua vita musicale?

Sicuramente spero di fare ancora molti live di “Nina” nell’immediato futuro. Quest’estate comincerò poi a registrare gli altri progetti con cui ho fatto concerti in questi ultimi anni per poi iniziare con le nuove idee e proposte degli ultimi mesi. Sempre molte e molto diversificate nei generi musicali.

 

In ordine di tempo usciranno per primi gli album di “Apocalittici Disintegrati” trio impro-folk con il doppio contrabbasso di Danilo Gallo e Marco Quaresimin. “Amara Terra” quartetto di rivisitazione in chiave jazz di alcuni brani tradizionali e non, che trattano di emigrazione e “Descantar” progetto francese con cui esploro l’interazione tra tradizione e libera improvvisazione. Poi arriveranno “We Insist” ottimo quartetto jazz con Enzo Carpentieri ed Enrico Terragnoli e “Tegnue” duo in cui mi sbizzarrisco con la loop-station in compagnia di Veronica Canale alla voce e fisarmonica, nel riarrangiare a modo nostro brani di tradizione veneziana.