“Io Dio No”, prodotto da Mayday Arte, fa parte di quei dischi che non hanno niente a che spartire con gli ascolti pop italiani quotidiani e neanche si vogliono mescolare tra i tanti accademici della filosofia o del suono. Questa quattordicesima prova di inediti in studio di Alberto Nemo è l’esemplificazione di quanto l’animo umano è capace di liberare in forma espressiva avvalendosi di una totale libertà, tecnica e spirituale. Canzoni disegnate dalla necessità di liberazione del proprio pensiero, un fiume recitativo che si mescola al cantato melodico che a sua volta si mescola a scenari post-apocalittici disegnati dal suono. Tra le nuove scritture disegna anche la musica per la poesia “Le vele” di Dino Campana. Ma “Io Dio No” è un disco di esplorazione a cui dobbiamo dedicare un ascolto non solo contemplativo ma anche e soprattutto attivo, di ricerca personale, di una misura che sia buona anche per il nostro vissuto. Sarebbe un errore confinare “Io Dio No” nelle necessità estetiche del gusto e misurarlo in quanto tale. Sarebbe davvero un gravissimo errore. Ci saremmo così perduti la meravigliosa occasione di ascoltare noi stessi.
Parliamo del suono di questo disco. Come lo ricerchi ma soprattutto cosa ricerchi in lui?
Hai detto bene, “lui”, il suono per me è una persona che incontro e insieme esploriamo nuovi mondi. Quando non ci incontriamo ne sento la mancanza, per questo cerco di non allontanarmi da lui. Prima di tutto cerco questa vibrazione che parla diretta allo spirito, poi succede che, a volte, nasca anche una melodia, una canzone.
La voce ha un ruolo assolutamente fondamentale. Dove cerchi di spingerti? Dove vorresti arrivare?
La voce è il mio suono interiore, arriva dal mio essere più profondo. Non ho cercato di ottenere degli effetti particolari, li ho scoperti cantando. Mi raccontano di luoghi antichi e forse di non luoghi, è l’anima che in me canta, per questo non posso trattenerla e, quando vuole sussurrare, glielo lascio fare come in questo disco.
Quanto il suono è parte integrante del messaggio?
Nei miei testi non ci sono narrazioni ma suggestioni. È nel modo in cui la parola viene cantata che trova il suo senso e nella scelta dell’arrangiamento si intuisce l’ambientazione. Il suono è tutto, ma è molto difficile trovarlo, questo è il mio lavoro.
Le tue canzoni sono poco “cantabili”. Ecco un commento che ho ricevuto ascoltando il disco prima di questa intervista. Ho trovato fosse un’osservazione banale e sciocca per un artista come te. Te la rigiro. Tu cosa ne pensi?
Penso che sia una giusta osservazione, infatti le mie non sono canzoni ma composizioni musicali che hanno come fine la risonanza con lo spirito di chi ascolta. Richiedono un tempo e un’attenzione diversa, non sono fatte per essere messe in sottofondo né per diventare tormentoni. Sono come certi profumi che si possono apprezzare solo dopo averli fatti decantare a contatto con la pelle.
Perché un omaggio a Dino Campana?
Quando lessi il suo testo la musica mi arrivò addosso improvvisa come una tempesta, una tempesta perfetta, che mi attendeva in quel mare straordinario dove abitano i poeti. Credo che artisti e poeti vivano la loro eternità sul mare e non amino altri luoghi. Un mare dove è dolce naufragare.
L’essenza solistica di quest’opera somiglia alla tua vita quotidiana?
La mia vita è un’occasione che non voglio perdere dietro a cose che non siano davvero importanti. Lasciar cantare la propria anima è la cosa più importante e vorrei che lo scoprissero tutti.