ENZO ZIRILLI | Tempi moderni

Incontriamo Enzo Zirilli, batterista e percussionista tra i piu’ creativi e versatili dell’ultima generazione, alle Cantine dell’Arena a Verona, dove suona in quartetto con Emanuele Cisi, Massimiliano Rolff e Andrea Pozza. Non abbiamo perso l’occasione per chiedergli un po’ di cose…

 

Sound Contest: Partiamo da “Neapolis”, disco in duo con il chitarrista Nico Di Battista per Rai Trade – Suoni del Sud. Contaminazione o latin jazz?
E.Zirilli: Partendo dal presupposto che la nostra musica popolare, soprattutto del Sud Italia cosi’ come la cultura, abbia subito molto l’influenza derivante dalla dominazione araba e spagnola succedutasi nei secoli direi assolutamente Contaminazione. Aggiungerei quindi che la musica napoletana era gia’ World Music nel Settecento e nell’Ottocento!

S.C. Com’e’ nata la collaborazione per questo disco?
E.Z. Conoscevo Nico di nome per le sue collaborazioni con E. De Crescenzo, Nino Buonocore, James Senese e Tullio De Piscopo. Un giorno mi chiamo’ per propormi la cosa e ti confesso che all’inizio ero un po’ scettico; su Napoli e’ stato gia’ fatto di tutto, con esiti non sempre esaltanti, devo dire. Poi pero’, una volta trovatici a provare il materiale sonoro e le sue possibili chiavi di lettura, unite alla particolarita’ del suo strumento (sei corde ma 2 corde da basso in modo da poter suonare la linea di basso al contempo!) e al mio set misto percussivo/batteristico (che amo chiamare Battussione), sono rimasto cosi’ affascinato da buttarmi a capofitto in questo lavoro.

S.C. Tra gli elementi presenti nel disco, appunto jazz, latino, new age, qual e’ lo stile a te piu’ consono?
E.Z. Lo stile che riconosco come progenitore di tutto cio’ che si e’ succeduto nelle musiche in questi ultimi decenni e’ il Jazz; nel senso che a mio avviso il Jazz racchiude di per se’ tutte le esperienze possibili in termini musicali e cioe’ la forte matrice africana per l’aspetto ritmico, quella classica di stampo occidentale per quanto riguarda l’aspetto armonico e quella, perche’ no, anche molto mediterranea per l’aspetto melodico.

S.C. In che lingua pensi, inglese o italiano?
E.Z. Quando penso a tutti i grandi uomini della nostra passata e recente storia, che hanno operato nei campi della letteratura, della scienza, del teatro e della musica, ma anche dell’impegno civile, penso senz’altro in ITALIANO! Se penso invece a quelli che da piu’ di 40 anni mortificano il nostro paese, sicuramente in Inglese.

S.C. Londra ti ha adottato in termini musicali. Come mai ti abbiamo perso, cosa manca in Italia per fare di te un musicista felice?
E.Z. Forse, tornando alla domanda precedente, mancano quelle figure che resero l’Italia la “culla artistica del mondo” negli scorsi secoli. O meglio, sono sicuro che ci siano persone di grande valore ai quali purtroppo non viene data voce. Siamo riusciti a dimenticarci dei nostri grandi valori e stiamo dissipando i nostri patrimoni, intellettuali ed artistici. L’Italia, sempre piu’ negli ultimi decenni ormai, e’ diventato sempre piu’ un paese dove vige la MARITOcrazia invece della meritocrazia.

S.C. Progetti poco comuni caratterizzano il tuo percorso, come quello per due batterie o il nuovo modo di intendere il cajon, fino al quartetto mainstream di Rolff. Da dove parte l’ampio respiro dei tuoi interessi musicali?
E.Z. Sono cresciuto, anche grazie a mio fratello maggiore anche lui musicista, ascoltando parallelamente i Beatles, John Coltrane, Miles Davis, i Pink Floyd, Jimi Hendrix, Santana, i Genesis, Charles Mingus e Art Blakey….se fai 2+2……

S.C. Cosa ti ha indotto ad accettare la collaborazione con Rolff?
E.Z. Il fatto che le composizioni di Rolff fossero interessanti dal punto di vista ritmico/melodico e poi che nella band ci fossero due amici/musicisti ai quali mi lega grande stima e lunga amicizia.

S.C. Raccontaci i progetti piu’ ambiziosi a cui hai lavorato e quelli a cui tieni di piu’ in questo momento.
E.Z.
Devo dirti che non penso mai ai progetti nei quali mi impegno in termini di ambizione, ma piuttosto di gratifica artistica ed umana: nel senso che collaborare con persone con le quali non ho nulla da condividere in termini filosofici solo per dire di lavorare ad un progetto ambizioso non mi interessa. Ho appena registrato un disco in trio con Dado Moroni, a suo nome, con Peter Washington al basso (gia’ bassista di Herbie Hancock, Art Blakey, Pat Metheny, Brad Meldhau…), del quale sono molto felice. C’e’ un grande afflato umano prima ancora che musicale tra di noi, ed e’ la cosa che cerco di piu’ quando faccio musica. Tra gli altri progetti che ho nel cuore, Neapolis, ovviamente, e poi un trio con Barbara Raimondi (autrice del disco “Accoppiamenti giudiziosi” per la Dodicilune), e il chitarrista brasiliano Roberto Taufic, ovvero “Contigo en la distancia”, dove suoniamo antiche canzoni sudamericane, per lo piu’ di matrice spagnola, degli anni ’40 e ’50

S.C. Che caratteristiche deve avere un batterista oltre alla versatilita’?
E.Z. Quella della generosita’. Intendo dire cercare di postporre il proprio Ego a favore della musica e dei musicisti con i quali fai musica. Il sapere ascoltare e l’avere possibilmente delle intuizioni per fare in modo di dirigere la musica verso “il miglior posto possibile”. Il batterista, in ogni contesto musicale, determina il risultato, “il sound” di una band o anche solo la riuscita di una serata.

S.C. Quando sei da solo e ti siedi al tuo strumento, a cosa pensi per iniziare?
E.Z. A niente… E’ come mettersi le ali e cominciare a volare… A volte penso ad un paesaggio, ad un tramonto, al mare o ad un film al quale sono affezionato.

S.C. Come si puo’ tradurre per un batterista quello che per un pianista e’ un “pensiero melodico”?
E.Z. Nello stesso modo, in realta’. Un batterista dovrebbe sempre cantare la canzone che sta suonando.

S.C. Hai mai pensato ad un progetto solista? Che taglio gli daresti?
E.Z. Si, ultimamente ci ho pensato; mi piacerebbe fare un disco ospitando alcuni dei tanti grandi musicisti con i quali ho collaborato in questi anni e suonare i brani che di questi musicisti ho amato di piu’. La particolarita’ sarebbe che l’autore del brano non lo suonerebbe, suonandone invece uno non suo.

S.C. L’esperienza piu’ forte, emotivamente parlando, tra le tue collaborazioni?
E.Z. Beh, sicuramente una delle piu’ forti e’ stata quella di suonare con Jack DeJohnette ed essere stato invitato a farlo direttamente da lui! Poi, altre esperienze molto forti sono state quelle di suonare con alcuni dei miei eroi: Gary Bartz, James Moody, Tom Harrell, Charlie Mariano, Larry Nocella, Steve Grossman.

S.C. Quella volta che ho suonato malissimo…
E.Z. Se non ci sono certe condizioni umano/musicali, rendo al 70%…

S.C. In cosa si differenzia il ruolo di un batterista quando suona da side man e quando invece suona da band leader?
E.Z. Secondo me non si dovrebbe differenziare. Il batterista, tornando alla domanda di prima, e’ sempre, anche se inconsapevolmente, “il Leader” del gruppo, anche nel sapere occupare, in certe circostanze, il ruolo di “sideman”.

S.C. Cosa bolle in pentola?
E.Z. Ci sono un po’ di cose che bollono in pentola. Direi innanzituto l’attesissima uscita del disco in trio con Dado Moroni e Peter Washington, poi quella di Drugstore Cowboys (band formata a Londra e che ha la sua base li’), la realizzazione di un secondo cd con Alberto Marsico (Organo Hammond) e Simone Santini (Sax, Ewi, Oboe) dedicato alla musica dei Beatles, che si dovrebbe chiamare “Let it Beatles”… (il 2010 e’ il quarantennale della realizzazione di Let It Be). La realizzazione di un altro lavoro in duo, Jimmy two Times, con Alberto Tafuri, amico di vecchia data e grande pianista/tastierista. Jimmy two times e’ il nickname di uno dei personaggi italo/americani, Jimmy appunto, del film Good Fellas (ve lo ricordate??) Chiamato cosi’ perche’ ripeteva tutte le cose due volte. Mi e’ sembrata una bella idea per il nome di una band, meglio ancora di un duo. Poi l’uscita di “Contigo en la distancia” con Barbara Raimondi e Roberto Taufic; quella di un lavoro in trio con l’accordeonista/pianista brasiliano Chico Chagas ed Aldo Mella al contrabbasso (amico e compagno di ritmica da ormai 20 anni!), e un Neapolis volume 2., con Nico, perche’ no ? Per finire, ma forse e’ la cosa piu’ “urgente”, prendermi un periodo “sabbatico”… ma al contrario, a New York. Sento di doverlo fare, dopo averci passato un mese e mezzo l’anno scorso e soprattutto dopo che alla fine di questo ultimo tour con Dado Moroni e Peter Washington. Peter stesso mi ha chiesto perche’ non andassi a stare un po’ li’… Cosa che mi ha mandato ancora piu’ in crisi, perche’ arrivata da uno come lui, che un giorno suona con Pat Metheny, l’altro con Brad Meldhau…

S.C. In tutto questo fervido lavorio di collaborazioni, creazioni, voglia di fare e di esprimersi, hai tralasciato Radio Londra. Parlaci di questo progetto realizzato tra Londra e Torino.
E.Z. Due mesi d’arresto e 1.000 lire di multa: era il rischio che correvano gli Italiani che si mettevano all’ascolto della mitica trasmissione in lingua italiana della BBC durante la II Guerra Mondiale. Radio Londra era l’unico autorevole contatto per chi volesse essere a conoscenza di cosa accadeva in Gran Bretagna (e nel mondo) in quegli anni, senza i filtri e la propaganda del regime fascista. Un canale attraverso il quale fluivano per ore e ore stralci e racconti di vita, melodie, letteratura, commenti politici… il tutto proveniente da un mondo regolato da ritmi, cultura, logiche e stilemi diversi e nuovi. Una “contaminazione” che evidentemente atterriva il Regime per la potenza e l’insidiosita’ intrinseche. Inevitabile, quindi, che chiamassimo proprio “Radio Londra” questa nuova mini-rassegna, a cavallo tra FolkClub e Maison Musique, che si prefigge di portare a Torino, direttamente da Londra e senza filtro alcuno, testimonianze significative (e contaminanti) di come la musica evolva Oltre Manica. Desideravo condividere con la mia citta’ d’origine il piacere che ho la fortuna di provare suonando a Londra con musicisti di straordinario talento. Molti di loro hanno suonato o suonano con autentiche icone della musica mondiale (per citarne alcuni: Eric Clapton, Steve Howe, Brian May, Steve Hackett, Ian Dury, Craig David, Ami Winehouse, Caetano Veloso, Milton Nascimento, Gilberto Gil, Paul McCartney, Robbie Williams, David Gilmour). E’ un modo, per me, di tornare a casa e portare il pubblico per mano nel piu’ variopinto degli universi sonori. Non ho avuto dubbi nell’individuare in FolkClub e Maison Musique i luoghi ideali per realizzare questo progetto e in Paolo e Davide gli interlocutori piu’ idonei per parlare di Musica; li ringrazio per aver accolto la mia proposta con cosi’ tanto entusiasmo. Dalla scatola magica di Radio Londra e’ uscito un cocktail di Jazz (da quello piu’ intimo ed introspettivo a quello piu’ energico e travolgente), Afro, Funk, sonorita’ mediorientali ed arabe, latino americane, rock e quant’altro…. In una parola sola: Musica! Il mio modo di vederla, sentirla e viverla. Io credo che i musicisti dovrebbero cercare di essere un po’ come tanti Pollicino; lasciare cioe’ delle tracce, dei segni, che consentano loro di ritrovare la via di casa dopo aver provato la gioia della scoperta di nuove strade e che permettano ai propri compagni di viaggio, che per me sono sempre gli ascoltatori, di fare altrettanto.