Sergio di Natale: tempi dispari all’ombra del Vesuvio

Incontriamo Sergio Di Natale in occasione dell’uscita del suo terzo disco, “What’s new”, in cui dopo i primi 2 CD da “batterista” da’ prova delle sue capacita’ di arrangiatore, supportato da una big band di tutto rispetto, l’All Stars Swing Orchestra.



S.C. – Allora Sergio, partiamo dal titolo, cosa c’e’ di nuovo in questo disco rispetto ai precedenti?


S.D.N.: “What’s new” e’ il mio primo disco da arrangiatore: e’ questa la novita’. Lo studio dell’armonia e’ stato un elemento costante del mio percorso di batterista. Avendo tanti amici esperti di questa materia, e’ stato per me naturale arrivare ad occuparmi di composizione e di arrangiamento. Ho studiato armonia con i maestri Antonio Solimene e Renato Gaudiello, quest’ultimo allievo del grande Bruno Mazzotta. La formazione classica mi ha dato la possibilita’ di esplorare mondi a me cari come quello del jazz, in tutte le sue fasi storiche e stilistiche, fornendomi mezzi e capacita’ di analisi non arbitrari. Ho approfondito lo studio dell’arrangiamento da autodidatta, passando notti insonni su molti manuali e cominciando a scrivere, al punto che quando ho deciso di frequentare il corso di laurea in musica jazz al conservatorio di Benevento, in realta’ avevo gia’ pronto materiale per un paio di dischi dalla cui selezione e’ venuto fuori “What’s new”.


S.C. – Il tuo stile e’ molto variegato e complesso. Sentendoti suonare si possono individuare vari “strati sonori”, che probabilmente sono le conoscenze da te acquisite negli anni, l’elaborazione di modi precedenti di suonare, l’esperienza fatta con i tanti con cui hai suonato. Insomma c’e’ un vero mondo sonoro (e non solo ritmico) nel tuo stile. Come sei riuscito a portare una mentalita’ musicale tanto complessa nell’arrangiamento per big band?


S.D.N.: Come batterista, penso di aver suonato tutta la musica possibile in una citta’ contaminata come Napoli: rock, pop, musica d’intrattenimento televisivo in RAI, neomelodica, musica popolare con Eugenio Bennato, jazz partenopeo con i sassofonisti Marco Zurzolo e Daniele Sepe, gli esperimenti etno-colti dei Solis String Quartet, il jazz rock del mio amico bassista Pippo Matino o quello del tastierista Ernesto Vitolo, le innumerevoli formazioni bop in cui ho militato, le esperienze di orchestra e di big band che mi hanno suscitato un desiderio feroce di conoscere il mondo degli strumenti a fiato. Portare il mio stile contaminato nella scrittura dei fiati e’ per me un fatto assolutamente naturale, strettamente legato al mio vissuto musicale. Quando suono o quando scrivo non penso ad uno stile in particolare ma al jazz con tutte le sue sfumature, anche le piu’ ardite.


S.C. – E poi perche’ proprio una classica “swing orchestra”? Forse perche’ era quella che ti permetteva una maggiore liberta’?


S.D.N.: La scelta di una “swing orchestra” classica e’ dettata solo da motivi pratici (mi piacerebbe lavorare con clarinetti e corni), legati alla necessita’ di scrivere per musicisti che conosco bene e per strumentisti di facile reperibilita’ per i concerti live.


S.C. – Se io fossi un batterista mi verrebbe di pensare alle varie sezioni dell’orchestra come alle mani e ai piedi di un batterista, cosi’ da poter creare ritmi sovrapposti. Nel tuo caso come hai organizzato e pensato l’organico?


S.D.N.: Gia’ incredibili arrangiatori come Count Basie o Duke Ellington utilizzavano le varie sezioni dell’orchestra con sovrapposizioni e incastri di cross-rhythms (cicli ritmici polimetrici, in musica colta detti hemiola), trasferendo nella scrittura dei brass e dei sax il tipico lavoro del batterista di jazz che con la mano destra scandisce inesorabilmente il beat sul ride (bisogno di un fattore d’ordine tipicamente europeo), mentre con i piedi e la mano sinistra sovrappone ritmi incrociati (peculiarita’ della cultura ritmica africana). Nel mio caso, partendo da un modo “batteristico” e “jazzistico” di sentire il ritmo, ho naturalmente trasferito la poliritmicita’ alla scrittura dei fiati. “On Green Dolphin Street” ben si presta all’utilizzo poliritmico dell’orchestra per la duttilita’ della sua melodia; ho infatti riarrangiato il brano per big band riarmonizzandolo e aggiungendo nuove unita’ formali (il tema riproposto una terza minore sopra, lo special dei fiati, il drums-comping, l’intro e la coda).


S.C. – In “What’s new” ritorna “On green dolphin street” che gia’ avevi suonato in “Muzzola”. Su questo pezzo anche qui, cosi’ come allora, ti sei sbizzarrito con soluzioni ritmiche diverse, riprendendo in parte le idee da quello suonato per un gruppo piu’ ristretto. Ti ispira particolarmente questo standard? Ci sono dei brani o armonie con cui ti trovi piu’ a tuo agio?


S.D.N.: Non ci sono brani o armonie particolari con cui mi sento piu’ a mio agio, ma mi piace lavorare con standards particolarmente “europei” nella loro canonica struttura tipica del song bianco di 32 battute, le cui melodie siano di facile adattabilita’ alle mie manipolazioni.


S.C. – Nonostante l'”apparenza” sei sulle scene da tantissimi anni. Come e’ cominciata la tua attivita’ di musicista, quali sono stati i tuoi insegnanti e quando ti sei sentito finalmente un professionista della musica?


S.D.N.: In effetti ho cominciato 30 anni fa. Mio padre mi regalo’ un pianoforte che feci barattare con una batteria: divenni il batterista della band di mio cugino, pianista, sostituendo il suo che non era gran cosa. Mi sono sentito professionista la prima volta che mi hanno pagato. Credo si trattasse di un matrimonio, avevo 14 anni e dovetti accompagnare una miriade di cantanti leggendo a prima vista gli spartiti delle loro canzoni. Un’incredibile pratica che ho continuato a svolgere per un pò di anni e che mi e’ risultata utilissima nei lavori televisivi in RAI e Mediaset, dove il tempo per le prove e’ ridotto al minimo. Ho avuto tanti insegnanti (quelli di armonia li ho gia’ citati): i pianisti Andrea Beneventano, Marino Mercurio, Gianluca Podio, il sassofonista Ferruccio Corsi, il trombettista Aldo Bassi. Per la batteria ho avuto un solo insegnante, Agostino Riccardi, compagno di studi del grande Alfredo Golino, che mi ha trasmesso la tradizione didattica della scuola napoletana, ma soprattutto l’amore per i grandi batteristi americani (Gene Krupa, Buddy Rich, Max Roach, Art Blakey, Tony Williams, Elvins Jones), oltre che per il mondo delle Big Band.


S.C. – Quali sono i batteristi che piu’ hanno ispirato il tuo stile? E i non batteristi?


S.D.N.: Tra i batteristi che ho ascoltato piu’ costantemente, oltre ai gia’ citati farei sicuramente i nomi di Peter Erskine, Steve Gadd, Jack de Johnette, Brian Blade, Bill Steward, Horacio “El negro” Hernandez, Julio Cesar Barreto. I musicisti che tuttora scelgo quando mi va di ascoltare musica sono Bach, Beethoven, Chopin, Parker, Davis, Coltrane, Rollins, Pat Metheny, Dave Holland, Chick Corea, Dave Matthews band, Noa.


S.C. – Si e’ sempre parlato di una scuola batteristica napoletana, che da Gege’ e Pierino Munari, Lino Liguori e Antonio Golino arriva ai giorni nostri. Ti senti parte di questo filone? E quali sono le caratteristiche proprie dei batteristi che appartengono a questa scuola?


S.D.N.: Come dicevo ho ricevuto gli umori della scuola batteristica napoletana, anche se i miei interessi si sono orientati subito verso Gary Chaffee e la didattica americana. Puo’ sembrare banale ma la forza dei drummers napoletani risiede proprio nella “napoletanita’”, con tutto quello che questo termine puo’ significare sociologicamente. L’espressione piu’ emblematica della napoletanita’ nella batteria e’ rappresentata dal grande Tullio De Piscopo, tanto americano quanto napoletano.


S.C. – Come tu stesso hai dichiarato “August” e’ un disco da “pianista”, mentre “Muzzola” e’ un disco da batterista. Ora un disco da arrangiatore… Dove vuole arrivare Sergio Di Natale? Quali progetti hai in cantiere?


S.D.N.: Voglio semplicemente continuare a studiare per progredire come musicista e come batterista. Sto scrivendo il secondo disco per l’A.S.S.O. (All Stars Swing Orchestra), ma ho anche in cantiere un disco jazz in quartetto ed uno di canzoni arrangiato per orchestra d’archi. Ma ci vorranno anni per realizzarli.


S.C. – Ultima domanda, con tutti questi tempi dispari, ma da quanto e’ che non suoni un bel 4/4?? 😉


S.D.N.: Suono in 4/4 tutti i giorni insegnando la batteria ad una miriade di rockettari che non riesco a convertire al jazz…ah ah ah…