Premiato al Biella Festival nella categoria miglior videoclip. E in effetti non c’è che dire per questo singolo Alti e colorati che dà il titolo al nuovo disco del cantautore e medico Giuseppe Novelli pubblicato dalla Interbeat di Roma. Girato a Grottammare nelle Marche, girato nella sua terra d’origine, terra a cui dimostra grande appartenenza e fedeltà ma che, di contro, gli riserva rispetto e considerazione… che di questi tempi è merce assai rara, possiamo e dobbiamo dirlo. “Alti e colorati” è un dolcissimo disco di pop d’autore con derive rock mai aspre e presuntuose, che rimandano inevitabilmente alla grande tradizione italiana dalla quale non possiamo prescindere anche volendo. E qui la schiera di artisti a cui dovremmo fare riferimento è davvero vasta, dagli Stadio a Beppe Dettori arrivando, volendo, anche a quel Fossati che ha insegnato un certo modo di fare “rotondo” il suono della musica di un cantautore. Canzoni d’amore, canzoni che segnano un punto nella vita, canzoni che la vita la misurano e tirano le somme. E poi quella parentesi in inglese che forse restituisce un Novelli diverso e per certi versi anche più equilibrato… e quella chiusa di cui parleremo – “Divise” – brano che secondo noi racchiude in sé il cuore tutto del disco. Andare oltre nelle cose, nelle persone, nella vita… andare oltre le divise.
Parliamo di suono. Contro l’indie digitale Giuseppe Novelli torna alle radici del pop d’autore. Citerei Fossati tra gli altri… una scelta assai conservatrice non trovi? Come mai?
Nulla “contro l’indie digitale” che mi piace moltissimo!! Neanche un “ritorno alle radici”. Mi piacerebbe pensare ad una celebrazione in chiave moderna della musica d’autore, che non è morta, forse viene poco ascoltata ma esiste ed è in forma, ci sono tanti cantautori validi, magari poco mainstream, meno appetibili per le major (se ci sono ancora…) e per il pubblico dell’usa e getta. Noi alla plastica preferiamo il vetro, è riciclabile, il contenitore. Non si butta niente negli oceani. Il contenuto però può essere sempre nuovo ed in fondo è quello che poi beviamo.
Fossati è senz’altro un riferimento e non sai quanto apprezzi che lo abbia citato.
Hanno forse finito le persone di interrogarsi sulla vita e sul mondo?
Hanno forse capito che domande profonde e leggerezza possono convivere?
Può davvero una canzone aiutare, stimolare o provocare qualcuno?
Io spero di sì, forse fare il cantautore vuol dire questo e non mi pare proprio una scelta conservatrice…
Le radici: quanto contano per te le radici?
Solo chi ha radici ben piantate può permettersi di essere ovunque ed interagire pienamente con gli altri. Avere radici vuol dire portare nel mondo un’identità che si confronta con il mondo, altrimenti si rischia di essere dei giramondo alla ricerca di un’identità e spesso ci si può perdere, visitare senza conoscere.
Legarsi ad un posto non significa in qualche modo chiusura verso il resto del mondo?
Appunto, tutto il contrario!!! Tu non scegli dove nasci, non scegli quali luoghi da grande evocheranno certi ricordi. Puoi però lavorare su quei ricordi, sul loro significato e così puoi acquisire una consapevolezza. Dalla consapevolezza dei luoghi, delle persone e del loro significato per te nasce sempre un desiderio di confronto e questo desiderio APRE al mondo!
Mia madre sostiene che io sia nato con la valigia, forse ha ragione. Ma io so bene dove sono nato, altrimenti forse avrei avuto paura delle valigie.
Inglese… come mai, che scelta di stile è e soprattutto perché solo in quel brano? E ancora… come ti senti ad usare la parola straniera?
Where do we go? È nata così, una ballata che musicalmente si prestava molto all’inglese, per questo, senza impormi limitazioni di stile, ho accettato la sfida di tentare di omaggiare le grandi ballate d’oltremanica. Relativamente all’uso della parola straniera ci sarebbero molte osservazioni da fare, in questa sede mi limito a dire che, al netto della difficoltà della pronuncia, ho notato come sia piuttosto naturale usare metafore intellegibili, forse è più semplice che in italiano.
Mi ha colpito molto “Divise”. Mi ha colpito questo riff ostinato di synth che mi richiama molto l’elettronica degli anni ’90… mi ha colpito il concetto di vedere oltre la buccia superficiale delle persone… cosa che ormai non esiste più, o quasi. Anche questo è un ideale alto e colorato…
Abbiamo tutti una divisa, più o meno ostentata, è il modo con cui quotidianamente ci rappresentiamo per proteggerci o per via delle regole delle nostre attività. In fondo però siamo molto di più dell’abito che mostriamo e cerchiamo tutti le stesse cose…questo tema non poteva che essere rock, genuino e spinto, sono felice che abbia colpito!
Premio al Biella Festival per il video della title track del disco. E tra l’altro arriva un anno dopo la sua pubblicazione, o sbaglio? Cosa significa per te una simile riconoscenza?
Questo premio è arrivato davvero inaspettatamente, e forse proprio per questo ci ha caricati e rinvigoriti. È un bel traguardo perché raggiunto in piena trasparenza espressiva, senza ingerenze tese ad acquisire consensi.
Il nostro regista Simone Danieli di CamOnVideo ha ascoltato il brano. È un mio amico, prima che un ottimo regista, mi conosce ed ha saputo interpretare il brano con una serie di immagini evocative, evitando di scollare il testo dalle immagini, così come di essere didascalico. La produzione si è dedicata a questo, fondere testo musica ed immagini, per generare un prodotto nuovo ma fedele.