Ennesima pubblicazione della RadiciMusic che non si smentisce ma che anzi conferma l’attenzione e la cura, estetica quanto di contenuto. Se “banalmente” si può archiviare la descrizione estetica di questo disco con una semplice descrizione allora va detto che il nuovo disco di Marco Cantini è assolutamente pregiato da subito, nell’averlo, nell’oggetto. Raffinato digipack a 3 ante disegnato a mano dal pittore (e padre dell’autore) Massimo Cantini che arricchiscono anche un librino con i testi in cui trovano spazio anche fotografie della produzione. Opera da vedere e da spulciare, soprattutto da cercarne i collegamenti tra la canzone e la rappresentazione. Archiviato questo si passa all’ascolto di questo disco dal titolo “La febbre incendiaria”: diciamo subito che non è un disco facile ma che anzi sottopone l’attenzione a forte stress e prove di purificazione, oggi che siamo assuefatti al superficiale e al manifesto televisivo. Un suono preciso e ben sagomato da Gianfilippo Boni, una ripresa dal vivo in studio guidata dalla produzione artistica dello stesso Cantini ma anche di Francesco Moneti (Modena City Ramblers che troviamo anche protagonista nell’esordio del cantautore toscano) e di Claudio Giovagnoli (Funk Off). Parliamo di canzone d’autore nell’accezione più pura ed alta del termine in cui non esistono strutture commerciali e forme sfacciatamente attente all’estetica. Quindi poche sequenze di ritornelli e strofe piuttosto una lunga narrazione di un italiano per niente scontato ma neanche di pretese accademiche. Si narra un romanzo epocale come quello de “La Storia” pubblicato nel 1974 da Elsa Morante. Marco Cantini ripercorre questo romanzo e lo fa con attenzione e trasporto, con dovizia di particolari, senza mitizzare ma facendone una cronaca personale. Il bellissimo video del singolo “Un figlio” lo trovate di seguito, clip realizzata da Giacomo de Bastiani e Lorenzo Ci: un ascolto davvero interessante come l’intervista che segue.
Esce “La febbre incendiaria”. Dopo Andrea Pazienza e il ’77 ti occupi di Elsa Morante. C’è un fascino esplicito verso il passato di questo nostro bel paese o sbaglio?
Credo sia soprattutto un desiderio innato di raccontare ciò che conosco, storie capaci di farci riflettere, canzoni che possano spingerci a porci domande senza necessariamente fornire risposte. Realizzare questo album è stata un’occasione per prolungare un progetto più ampio iniziato da “Siamo noi quelli che aspettavamo”, e mirato ad uno sguardo sul nostro passato sociale e politico: fissando un punto di vista, che resta sempre quello dalla parte dei vinti. Nel precedente disco è vero, come dici, che si parlava del ’77 bolognese e di Andrea Pazienza, ma era soprattutto la narrazione della sconfitta di un uomo dei nostri giorni, un professore precario costretto a chinare la testa dinanzi ad un sistema che non riconosceva i suoi meriti. Mentre nel caso de “La febbre incendiaria” racconto tanti personaggi che subirono i tragici effetti di una guerra non richiesta: tutti pensati, dalla Morante stessa, in condizione di parità. E inseparabili nei loro destini.
Parliamo del ’77 come anche del secondo dopo guerra: secondo te questa liberazione e questa emancipazione ha regalato la possibilità a tutti di diventare quel che volevano o ha semplicemente accolto e giustificato una certa dose di omologazione? Non a caso le principali contestazioni del romanzo della Morante hanno anche puntato il dito ad un certo modo di codificare la storia appunto…
Già nel 1975 Pasolini parlava di quell’omologazione che realizzava il sogno interclassista del vecchio Potere, a proposito della cultura di una nazione che – diceva – non può essere esclusivamente quella dell’intelligencija. “La Storia” era privo di formule ideologicamente accettabili nel 1974, totalmente estraneo a qualunque schema politico e letterario: a tale proposito, proprio la rigida applicazione di certe categorie critiche allora dominanti, impedirono a molti esegeti dell’epoca di poter capire appieno quanto fosse un’opera capace di sfuggire a qualsiasi circoscritta definizione. Contro il sistema della sopraffazione, dalla parte dei più deboli, e capace di indurci ad una meditazione non addomesticata sulla realtà del Novecento (e più in generale, sul nostro tempo).
Dalla rete peschiamo il bellissimo video in studio del singolo “Classe operaia”: tutto il disco è stato fatto così? E in particolare questa è stata proprio la take di registrazione?
Il video di “Classe operaia” – così come gran parte del disco, realizzato live in presa diretta – è stato fatto grazie alle riprese effettuate presso il SoundClinic Studio Larione 10 di Firenze, in una delle varie take di registrazione assieme ai musicisti con i quali ho lavorato agli arrangiamenti dell’album: Gianfilippo Boni, Lele Fontana, Lorenzo Forti, Riccardo Galardini e Fabrizio Morganti. A loro si sono aggiunti anche Claudio Giovagnoli dei Funk Off e Francesco “Fry” Moneti dei Modena City Ramblers. Dopodiché ci sono state delle sovraincisioni di cori e strumenti solisti quali fisarmonica, violoncello, armonica ed altri.
Più del precedente questo lavoro ha tanti ospiti. Tiziano Mazzoni proprio per parlare del brano appena citato ma non solo. Nel singolo uscito questa estate c’era anche la bellissima Valentina Reggio. Chi altro?
Nel singolo di cui parli, “L’orrore”, la voce femminile è di Claudia Sala, bravissima cantante palermitana conosciuta proprio grazie a Francesco Moneti; mentre Valentina Reggio ha prestato la sua voce su “Ida in lotta”. Oltre a loro l’album ha visto la presenza di tanti ottimi artisti e musicisti come Silvia Conti, Marco Rovelli, Riccardo Tesi, Nicola Pecci, Stefano Disegni, Gabriele Savarese, Roberto Beneventi, Andrea Beninati, Serena Benvenuti e Nicola Cellai.
Per chiudere: quanto questo disco è figlio indissolubile del romanzo? In altre parole: senza aver letto il romanzo, il disco ha un suo perché?
Sono 14 canzoni che fotografano e interpretano gli episodi salienti del romanzo: le immagini a me più care, e quelle che ho ritenuto più funzionali al senso dell’intero disco. Mi auguro che possa essere recepibile anche da chi non conosce il libro, ma ancor di più spero che, per quelli che non lo hanno ancora letto, sia un valido incentivo a farlo.