Era dai tempi di uno smagliante concerto al NAM, esattamente tre anni fa (salvo smentite), che si attendeva una nuova tappa nel capoluogo campano dell’artista che probabilmente più di ogni altra in Italia sta rimischiando le carte intorno a una certa immagine “di nicchia” della “cantante di jazz”. Questo grazie a una freschezza e ad una forza comunicativa veramente straordinarie, a una musica che coniuga l’omaggio a Mina e alla canzone italiana degli anni Sessanta (strepitoso il suo “Non gioco piu’”, quarto, penultimo cd andato esaurito nelle sole vendite ai tanti concerti in giro per l’Italia seguiti alla sua pubblicazione) al soul, alla musica brasiliana ma anche alla sperimentazione vocale, alla ricerca di una strada personale e intensa alla canzone d’autrice (l’ultimo, curatissimo, sorprendentemente maturo “Shattered”).
Ci ha pensato allora il Music Art, e benissimo ha fatto, inaugurando la stagione 2017-2018 dei suoi agguerritissimi “Venerdi’ in jazz”, a segnare il ritorno partenopeo di Greta Panettieri. Che, rilassata, stimolata a dare il meglio di sé ad un pubblico caloroso e generoso (lo ha sottolineato più volte), ha regalato quasi due ore di musica attingendo a piene mani dal repertorio dei dischi citati. Ma non solo: rivisitando, anche, con enorme suggestione, nel primo dei dodici brani eseguiti, la versione originale francese di “Un anno d’amore” che si intitola “C’est irreparable” e che la trentanovenne artista romana (ma è stata attiva più di dieci anni a New York) ha pubblicato nel 2015 solo su singolo. O omaggiando con “Trem azul”, in un’interpretazione sognante, caratterizzata dalle linee direttive e da un suggestivo assolo del basso elettrico, un grande della canzone brasiliana come Milton Nascimiento. Oppure ancora, in un bis insperato e sorprendente, eseguendo una “Cry me a river” dal sapore quasi cool, con buona probabilità memore dell’incisione superba che vi dedico’ Helen Merrill.
Da “Non gioco piu’” Greta ha riproposto, nell’ordine, “Se telefonando”, “Parole parole”, “E se domani” – solo voce e pianoforte, il momento più intimo del concerto – e “Brava”.
Le esecuzioni ascoltate, in confronto a quelle dirette e frizzanti, emotivamente intensissime del disco e dei primi live, hanno preso direzioni diverse: lo scavo interpretativo intorno a “Se telefonando”, ad esempio, ha prodotto l’altra sera una versione scolpita, energica, risolta. Così come “Parole parole” è parso il momento centrale del concerto in una riproposizione dalle tante sfaccettature: da quella che ha reso protagonista il pubblico, a cui Greta ha girato il microfono per il celeberrimo ritornello, ad una lunga interessantissima coda in cui la voce della Panettieri si è trasformata in uno strumento duttile e imprendibile, ora nota altissima di violino ora indistricabile precipitato di note (verrebbe quasi da suggellare: da Mina a… Cathy Berberian!), il piano di Andrea Sammartino (vero regista sonoro della musica di Greta) in un laboratorio esplorativo di suoni martellanti, il basso elettrico del bravo, duttilissimo Daniele Mencarelli in un’implosione di effetti e di sperimentazioni, la batteria dell’ottimo Valerio Vantaggio in tamburi percossi a mano, dal suono ‘etnico’, ancestrale.
Numerosi, dicevamo, anche gli estratti da “Shattered”: nell’interpretazione della title-track come in “Don’ t know”, nella swingante, divertentissima “Oppure no” come in “Less is more”, l’autrice di “Viaggio in jazz” – un’autobiografia in fumetti illustrata da Jasmin Cacciola edita un po’ di tempo fa – è apparsa vibrante, sfoderando urgenza espressiva, misura perfetta. E, al posto degli elaborati, corposi, riuscitissimi arrangiamenti delle versioni in studio Greta e il suo trio hanno fatto emergere, in un bell’effetto in controluce, lo schema essenziale e fascinoso di queste songs, il loro cuore più intimo e spontaneo.
Napoli, Music Art
venerdì 6 ottobre 2017