Siamo a casa di un trio che fa da corona alla ricerca e alla tesi in Chitarra Jazz del chitarrista Mark Jelli presso il London College of Music (UWL). A corona, dicevamo, il contrabbassista Mauro Mussoni e il batterista Manuel Giovannetti. Sono gli After Fedro che pubblicano il loro disco omonimo denso di affascinante competenza stilistica, di visioni altre sulle linee che hanno tracciato importanti scuole del jazz mondiale. Ma si va subito oltre: siamo in bilico tra sapori classici che poi però si mischiano e si lasciano contaminare da tanto altro. Tratti di distopia e post rock (con le dovute virgolette) dentro una ricerca che approda anche al mondo digitale. Addirittura, spesso è dalle macchine programmabili che i nostri sono partiti. E le citazioni di stile sono tante e preziose…

 

After-Fedro-COVERSono curioso di come si lega il concept di questo disco alla copertina di Deanna Dikeman. Pura estetica o esiste un filo che lega assieme le opere?

Con Deanna siamo in contatto dal 2021 e ho sempre apprezzato il suo punto di vista fotografico. Mentre stavamo finendo i mix dell’album ho pensato di inviarle una anteprima del brano “[argini] “chiedendole una risposta visiva alla mia domanda sonora. Il risultato è stato quello che vedete in copertina e debbo dire che sono davvero soddisfatto del suo scatto.

Parliamo di produzione: immagino sia tutto in presa diretta e come vediamo dal vivo anche in ambienti separati. Sovraincisioni?

Esatto! L’album è stato registrato in un paio di giorni e per la maggior parte in presa diretta. Ho sovrainciso solo alcune chitarre che avevano bisogno di alcuni layer effettistici un po’ più complessi. È importante per me che il tessuto rimanga un po’ grezzo e sfilacciato.

La chitarra che tipo di suono ha ricercato e come?

Domanda interessante! Negli ultimi anni sto approfondendo molto l’estetica sonora della mia chitarra in relazione al progetto. Mi piace l’idea di ritornare ai suoni acustici sintetizzando quelli elettronici. Nel mio caso il suono rimane elettrico ma con una presenza naturale, cerco la distorsione nel concetto musicale e non nel suono stesso. Sono costantemente al lavoro per rappresentare questa idea.

 

 

Per il resto del trio sembra abbiate scelto una dimensione assai classica. Nessuna sperimentazione di suono in merito?

Trovo molto stimolante il fatto di partire da una formazione classica per lavorare principalmente sul linguaggio musicale ed espressivo. Probabilmente perché molti dei miei riferimenti artistici hanno avuto questo modus operandi, parlo ad esempio dell’Esbjörn Svensson Trio, degli Happy Apple e dei GoGo Penguin per citarne alcuni.

Tra le radici artistiche leggo e mi colpisce il nome di Aphex Twin a cui associo sempre tantissima visionarie elettronica. Come si lega con questo disco?

La ricerca artistica di Richard D. James mi ha sempre ispirato molto. In particolar modo in termini compositivi condivido l’idea di creare una realtà sonora pacificamente disturbata, tra paesaggi sonori e ritmi cangianti. Credo mi abbia influenzato in diversi brani di questo album.

Che poi a proposito di elettronica altro punto che vorrei sottolineare è la produzione di “Dollis Hill” che, leggo, essere nato in digitale prima… cioè?

“Dollis Hill” è stata prodotta interamente come si usa per la musica di natura elettronica, batteria programmata sequencer e arpeggiatori. Poi abbiamo sintetizzato tutto umanamente, togliendo la parte più “robotica” e aggiungendo volutamente ripetizioni simili ad errori.