Ecco un’intervista che celebra il gusto di parlare con artisti di grande esperienza. Ottodix arriva al suo sesto disco che intitola “Micromega” e tira fuori ispirazioni visionarie, come suo solito in fondo. Bellissima la copertina, foto di una sua installazione presentata a Pechino. E dire che questo progetto, come tanti altri nomi, è fuori dal grande circuito mediatico nostrano. Questo ormai non ci stupisce più ed è meraviglioso vedere l’equilibrio e l’onestà intellettuale che permea personaggi come Ottodix. Non è la celebrità a fare l’uomo artista. E’ da persone così che dovremmo tornare a considerare quali sono davvero i canoni e le morali di un certo modo di stare al mondo. Un disco di pop digitale, di canzone d’autore, di ricerca e di sperimentazione. In fondo è il solito Ottodix che si rinnova, di visione in visione…
Domanda visionaria: che colore ha questo disco?
La domanda è meravigliosa. Come dire: – Che colore ha il numero 5 per te? e l’8? Non sto facendo sarcasmo, pensa che applico questo tipo di sensazione mentale, astratta, anche in fase di composizione dell’album. Ogni canzone in testa prende un colore specifico, una dominante fredda o calda. Come per la scala dei numeri che noi ci figuriamo blu o gialli a seconda della nostra esperienza o sensibilità.
Ecco, se sento di aver fatto un paio di canzoni “verdi” o anche più, cerco di farne una rossa o una gialla, per rendere più vario possibile l’ascolto. E infatti, più in testa un album è variopinto e sgargiante, più vuol dire che di solito ha canzoni forti e distinte.
Ma ogni album, nel suo complesso, visto da lontano, ha anche un colore preciso di fondo, un colore ispiratore.
Essendo un artista visivo e curando le copertine e l’artwork, mi è impossibile non considerare questo aspetto. La mia risposta dunque è nell’artwork.
Un album aereo, atmosferico, da una parte, quindi azzurro, colore di acqua e cielo, ma anche misterioso e oscuro come il cosmo e l’ignoto. Un album in cui la luce azzurra illuminista della conoscenza squarcia il nero.
Pensando al Mega: una visione di insieme secondo te fa capire meglio tutte le cose?
Difficile avere una visione d’insieme completa, non avendo né i mezzi tecnici per osservare, né il cervello strutturato per capire simili distanze e simili dimensioni (anche dimensioni extra). Diciamo che più cose e dimensioni si conoscono, più si capisce la nostra posizione rispetto ad esse, per correlazione, ma soprattutto si capisce dove si è, nel quadro del tutto.
Un senso della posizione, sia fisico che metaforico, del limite e della misura, appunto. Credo che la società oggi abbia perso di colpo moltissime coordinate importanti per riconoscersi in sé stessa. Questo non è affatto un male, perché tutto è in divenire, ma le vecchie coordinate non sono state sostituite con nulla, almeno per ora, perché è impossibile distinguere oggi delle direttive di gusto, di pensiero, di logica, di utopia, nel mare liquido della comunicazione e della fruizione, dove tutto è a portata di tutti, ma nessuno ha più chiari i mezzi o ha la cultura per distinguere le cose di valore da quelle che non ne hanno.
Pensando al Micro: facendo il focus sul particolare ci si oscura la visione di altro che c’è attorno. Il non vedere aiuta o cosa aiuta invece?
Fare il focus sul micro, non rivela un particolare singolo isolato nel buio, ma un mondo fatto di particolari, un cosmo sconosciuto.
Il micro, come l’immensamente macro, destabilizza perché non è visto, ma avvertito o ipotizzato (l’atomo non è ad oggi osservabile al microscopio).
Il pensiero che voglio suggerire nella parte “micro” dell’album, è che bisogna sempre tenere presente che il nostro io, come individuo singolo, è esso stesso un collettivo di micro organismi e di cellule, una città operosa fatta di miliardi di sotto individui, a loro volta composti da milioni di atomi, composti da un vertiginoso mega numero di stringhe, che vibrano in più dimensioni di quelle che immaginiamo. Siamo galassie ambulanti a nostra volta. Micromega vuole sottolineare anche questo. L’importanza di rimanere entro il proprio ordine di grandezze, ricordandoci che nel cosmo dobbiamo muoverci con cautela e rispetto, sia che miriamo a grandi imprese, sia nei piccoli gesti. Tutto è coordinato come un orologio, il tutto è un ingranaggio in cui ognuno di noi ha una parte fondamentale, ma stando in armonia col resto. E in più, il micro, insegna che l’ “io” presunto non esiste. È solo un punto di vista del nostro ordine di grandezza. Ogni individuo-uomo è uno sciame, un grappolo di molecole che chimicamente producono sensazioni spiegabili dalla scienza; il risultato meraviglioso dell’illusione del pensiero che ottengono è frutto di un lavoro collettivo straordinario, talmente straordinario da farci credere di essere “uno”. Se le società odierne e l’intera specie collaborassero così, l’uomo sarebbe avanti di migliaia di anni nell’evoluzione.
Ti offendi se ti dico che è uno dei dischi più “pop” di Ottodix? Insomma parlando dell’uomo è all’uomo che vuoi giungere.
Io amo il pop e lo uso per veicolare concetti e riflessioni complesse, inoltre ho sempre cercato ritornelli e singoli efficaci per trainare operazioni più difficili. E ho sempre mirato all’uomo, usando metafore e visioni suggestive per indorare la pillola. È il cinema, baby.
La cosa più incredibile è che sei il primo a dirmi questo: per gli altri era l’esatto contrario. Disco superbo, ma ermetico, indigesto, pretenzioso, intellettuale, criptico. Meno male che almeno uno si è accorto del tentativo di universalizzare il messaggio.
Le canzoni sono più scorrevoli volutamente, ho inserito tratti di psichedelica elettronica e ripetitività nelle strutture per dare il senso del viaggio, per concentrarsi meglio sui testi. Il tema è tosto e specula tra arte, scienza, filosofia e spiritualità, quindi il fatto che la struttura dovesse essere più “pop” era condizione essenziale. Non mi offendo, anzi! Che tu sia lodato!
Ma in qualche misura è anche uno dei dischi più sentiti di Ottodix? L’ho trovato maggiormente dinamico e ispirato. Soprattutto nei testi…
Intanto dura poco. Mi dicevano che facevo sempre album molto lunghi. Ecco, beccatevi nove canzoni nove, come Violator dei Depeche, mi sono detto.
Sì, ispirato, non poteva essere altrimenti, ho inserito una visione esistenziale mia, completa sul tutto e sulla società. È un album propositivo, a differenza del precedente Chimera, album distruttivo delle vecchie utopie del XX Secolo. Questo, oltre che puntare il dito sulle storture del nostro tempo, suggerisce una via d’uscita che elimini individualismo, religione, potere e violenza, attraverso un mix di razionalità scientifica, rispetto per l’ambiente e una spiritualità più filosofica e culturale. Il tutto con l’ausilio della parte migliore della tecnologia.
Lasciamoci con un pensiero da lanciare agli arrangiamenti orchestrali di “Micromega”. Una collaborazione molto precisa…
Devo chiarire una cosa riguardo a questo. I miei album sono sempre stati molto orchestrali e anzi, sono una mia cifra stilistica sempre più netta. “Chimera” straripava di orchestre novecentesche arrangiate da me in modo maniacale e perfino perverso, con archi, fiati, legni e ottoni.
Idem per questo “Micromega”, in cui ho intrecciato e tessuto, però, arie sinfoniche più aeree e da soundtrack, soprattutto in Sinfonia Della Galassia, dove ho riprodotto sonorità hollywoodiane con uno scopo preciso.
Il lavoro di coproduzione di Flavio Ferri non è stato tanto sulle orchestrazioni (anzi! l’ho fatto impazzire per equalizzarle), quanto sul suono in generale e su invenzioni strutturali in singoli brani, che ne hanno fatto crescere enormemente il potenziale. Su CERN, i suoi bassi e drums e i sapienti lavori di feedback seminascosti hanno incorniciato e sorretto bene tutto l’apparato orchestrale che avevo steso e programmato nella demo, valorizzando quel crescendo molto azzardato. Su Il Mondo delle cose, il suo lavoro sulla sezione ritmica ha fatto diventare il pezzo (come immaginavo!) una cosa alla Massive Attack, mentre su Planisfera ha rifatto da zero le strutture ritmiche del mio provino, lasciando tutta la parte sinfonica che avevo portato appoggiata sopra ad una bassline diabolica nuova di zecca.
Ci sono molti suoni “siderali” semi nascosti e ottenuti da lui, che danno una pasta aliena al tutto, e lo trovo straordinario.
È stata una collaborazione affascinante in cui tutte le mie idee più forti sono state rispettate e quelle più deboli, discusse, sviluppate e migliorate.
È un vero viaggio.